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L’importante non è vivere, ma vivere bene.
Seneca
Non ritengo reale l’affermazione che ci descrive tutti consapevoli dell’importanza della prevenzione nei confronti delle malattie, ancor meno quella della prevenzione nei confronti della mente.
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Un uomo diventa il suo pensiero: quello che pensa lo crea. L’uomo è l’architetto del suo stesso fato. La costante ripetizione di qualche pensiero o idea si consoliderà alla fine in una situazione reale; quindi, ricorda, qualsiasi cosa sei è quello che hai voluto essere.
Osho
Per comprendere a fondo l’utilità della prevenzione occorre una efficace consapevolezza, sia attraverso la conoscenza, ma anche attraverso la ripulitura della mente dalle distorsioni religiose, filosofiche, ideologiche, che ci presentano la natura umana diversa da quello che è in realtà.
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Il positivo non può esistere senza il negativo, come la luce senza il buio ed il bene senza il male. Il concetto dello Yin e dello Yang accomuna la filosofia taoista orientale a molte altre filosofie in cui ogni situazione si relaziona a questa forte dualità, essenziale per la ricerca di un equilibrio e per raggiungere il benessere.
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Se la felicità si posiziona all’estremo opposto dell’infelicità al centro della ruota in posizione di equilibrio si colloca la serenità.
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Prefazione
Io non sono un alpinista ma credo che scrivere un libro che voglia esprimere concetti e pensieri non precisamente ortodossi sia un po’ come scalare una montagna. Ogni professionista della scalata sa che può superare un certo grado di difficoltà quindi sa bene che se non riesce ad arrivare alla vetta la colpa non è della montagna. Altrettanto per chi si impegna a trasmettere pensieri non ortodossi se non viene compreso significa che non è riuscito ad essere chiaro o che non ha trovato la giusta gradualità per esprimersi. Mi piace comunque correre questo rischio anche perché da tanti anni ho fatto mio il motto del grande Osteopata Harrison Herbert Fryette
“osa essere diverso in così tanti preferiscono essere ortodossi piuttosto che giusti”.
Perché scrivere un libro su ciò che lega la nostra postura, il nostro modo di muoverci, all’atteggiamento e alle emozioni?
Il movimento, lo sport, l’attività motoria, sono sempre stati la mia passione, la pratica delle arti marziali e la frequentazione critica dell’ambiente delle arti orientali hanno sviluppato in me la curiosità e la voglia di approfondire quei legami che le arti orientali e non solo descrivono da sempre.
Più cercavo di approfondire e più mi rendevo conto di una netta separazione tra il “sapere ufficiale” e quello così detto “alternativo”.
Dentro di me, più o meno consapevolmente, percepivo il fascino dell’ambiente alternativo, che spesso fondava il suo appeal sul mistero o sul mistico, ma questo andava inevitabilmente in conflitto con la sicurezza che la scienza ufficiale così ingegnerizzata e matematica poteva dare.
La mia ricerca allora si è indirizzata a cercare di comprendere perché i due ambienti non potessero coesistere, colloquiare e far parte di un sapere unico, una ricerca che esigeva l’avvicinamento agli aspetti filosofici della scienza, un ritorno all’antico quando scienza e filosofia erano facce di una stessa medaglia.
Ad un certo punto del mio percorso mi sono reso conto che quello che avevo dato per certo perché scientificamente supportato poteva essere messo in dubbio e questo mi ha messo in crisi, ha messo in crisi le mie certezze.
Perché avrei dovuto dubitare della scienza? Non riuscivo a comprendere come si potessero mettere in dubbio i concetti matematici e fisici che per me erano una certezza. Lo studio di aree diverse dall’ambito scientifico e soprattutto la pazienza di dare il tempo alle mie idee, alle mie conoscenze, di sviluppare un nuovo modo di guardare alle cose, ha fatto crescere in me uno spirito critico molto più sensibile e forse evoluto. La Filosofia pone il dubbio come premessa nella ricerca della verità e altrettanto la scienza fonda la sua ricerca sul dubbio, si afferma infatti che la scienza non è un insieme di verità dogmatiche, ma un processo continuo di indagine, raffinamento e correzione delle conoscenze. Quindi sia la filosofia che la scienza utilizzano in maniera costruttiva il dubbio al fine di ottenere la verità ricercata. Si può utilizzare lo stesso ragionamento utilizzato verso la Filosofia e la Scienza, sulla comunità scientifica? Quanto influiscono le debolezze e fragilità umane sulla corretta gestione dei percorsi scientifici? Gli stessi dubbi che si possono avere sulla “comunità scientifica” possono essere rivolti alla “comunità storica”, alla “comunità politica”, alla “comunità religiosa” e ad ogni comunità costituita da esseri umani che possono “cedere” ai propri interessi.
Una volta elaborata la differenziazione tra il dubbio sul metodo scientifico e quello sull’essere umano la mia crisi ha trovato una certa risoluzione stimolando la ricerca di una verità diversa da quella ufficialmente presentata.
Dopo aver elaborato questo concetto, quello che può differenziare il grado di fiducia nella scienza varia a seconda di quanto peso si da alla parte “dell’interesse umano”, e devo dire che la mia esperienza di vita mi ha spesso messo di fronte a molte verità estremamente diverse da come sono state pubblicamente presentate.
Il lettore si chiederà cosa c’entra la fiducia sulla comunità scientifica e l’argomento centrale del libro (la biomeccanica delle emozioni), il titolo piuttosto enigmatico per molti è invece molto chiaro per chi mi conosce da anni ed ha condiviso con me alcuni percorsi. Il mio impegno è quello di far comprendere l’importanza di ciò che fino ad alcuni anni fa si intendeva con prevenzione primaria, salvaguardare la salute prima che questa possa avere degli insulti. Un percorso solo apparentemente semplice perché reso semplicistico da una comunicazione troppo superficiale finalizzata più all’aspetto commerciale che non a quello qualitativo.
A quella prima definizione occorre aggiungere tutta una serie di aspetti che legano la parte corporea, schiava di una visione meccanicistica, quei percorsi descritti in mille maniere e con nomi molto diversi ma che riconducono all’ambito della psicosomatica.
In questo contesto mi rendo conto di trovarmi nella scomoda posizione di chi sta tra l’incudine ed il martello, da una parte l’ottusità di chi guarda alla scienza in maniera dogmatica con i paraocchi convergenti, dall’altra quella folta schiera che in genere si riconosce nell’ambito della new-age e che troppo spesso rifiuta ogni contatto con la realtà. Per nessuno di noi è facile accettare il fatto di essere manipolato nei propri pensieri, eppure, se vogliamo essere almeno un po’ più liberi, dobbiamo affrontare un lavoro introspettivo e di confronto critico con la realtà senza il quale è impossibile vedere la luce. Una magnifica metafora ce la offre Platone con l’allegoria della caverna di cui parlerò più avanti nel libro nel capitolo “da fuori si vede meglio”, ma di seguito ne scrivo una sintesi:
La realtà raccontata attraverso il mito della caverna di Platone.
Quante volte pensiamo di conoscere una cosa e poi ci accorgiamo di aver preso una cantonata! Eppure in molti si credono sicuri di quello che vedono e altrettanto si sentono sicuri di quello che sanno.
Ma possiamo essere così sicuri che la realtà sia ciò che appare ai nostri occhi?
Già migliaia di anni fa Platone ci invitava saggiamente a fare attenzione su quella che crediamo sia la realtà. Cerchiamo di comprendere meglio questo concetto attraverso la Filosofia; alla domanda posta a Platone su cosa fosse un Filosofo egli rispose che ogni persona di qualunque età che non può fare a meno di farsi domande per scoprire le cose è un Filosofo. Chiunque sia disposto a mettere in discussione le proprie convinzioni per cercare la verità può essere definito quindi un Filosofo, ma questo richiede coraggio sforzo e spesso comporta dolore e confusione. Il filosofo dunque è colui che ha il coraggio di cercare, scoprire e guardare la realtà per quello che è mettendo in discussione tutto e per questo viene spesso deriso e umiliato dagli altri che preferiscono vivere nell’illusione. Purtroppo la folla vuole sentirsi dire solo ciò che già crede di sapere e teme la verità perché osservarla metterebbe in discussione tutto ciò in cui ha sempre creduto.
Platone, nel settimo libro della Repubblica, ci invita a fare attenzione su quella che crediamo sia la realtà. E lo fa con la sua allegoria più famosa: Il mito della caverna.
Egli ci invita ad immaginare degli uomini prigionieri fin da bambini all’interno di una caverna, essi sono seduti incatenati mani e piedi ed hanno la testa bloccata in modo che possano guardare solo nella direzione della parete di fondo. Più indietro alle loro spalle arde un fuoco che proietta la sua luce sulla parete e come su uno schermo cinematografico si evidenziano le ombre dei pupazzi che le guardie muovono spostandosi tra il fuoco e le spalle dei prigionieri. Dato che i prigionieri sono lì da quando sono nati, questa è l’unica realtà che conoscono e in cui credono. Per questo motivo essi danno un nome ad ogni tipo di ombra, cavallo, uomo, lancia, anche se in realtà quello che vedono sono ombre, ombre dei pupazzi che le guardie muovono dietro di loro. Per quanto possa sembrare assurdo essi credono reali le immagini di ombre che non sono nemmeno ombre di cose reali ma ombre di pupazzi!
Un giorno uno degli schiavi riesce a liberarsi o forse, non si capisce perché, viene liberato, uscendo dalla grotta la luce a cui non è abituato lo obbliga ad abbassare lo sguardo verso il suolo dove ogni cosa reale proietta la propria ombra. Ma i suoi occhi si abituano alla luce e adesso egli oltre alle ombre può vedere le cose reali. Una volta superato lo stupore e compresa la nuova realtà il suo desiderio è quello di condividere la sua scoperta con i suoi amici ancora bloccati nella caverna. Tornando dentro fa di nuovo fatica ad abituarsi alla penombra, il suo racconto appare assurdo ai suoi compagni che iniziano a deriderlo e lo scambiano per un pazzo che non vede più la realtà, quell’unica realtà che loro conoscono. Egli non è più gradito e viene cacciato, se non fossero stati incatenati lo avrebbero ucciso.
Con questa allegoria Platone ci insegna una verità inquietante su colui che riesca ad acquisire la verità dietro alle ombre, perché divenendo consapevole della realtà egli possa essere preso dal preso dal desiderio di liberare gli altri condividendo ciò che ha capito. Purtroppo gli altri non vogliono essere liberati, anzi desiderano allontanare chiunque turbi il quotidiano tran tran, disposti a condannare chiunque minacci la loro zona confort.
Purtroppo per noi viviamo nella nostra caverna a forma di salotto seduti nella nostra poltrona lasciando fuori la realtà e affidandoci alla vista delle ombre schiacciando il pulsante del telecomando
Occorre guardare, almeno per sommi capi, la differenza tra la storia “ufficiale” che ci viene raccontata nei libri di scuola e quella che alcuni storici sono riusciti a ricostruire attraverso documenti e ricerche meticolose. La vera storia infatti ci dimostra come una ristretta élite, supportata dai media (che possiede e controlla), attraverso i suoi uomini infiltrati nelle Istituzioni abbia deciso la vera storia del mondo. In particolare, per quanto ci riguarda, attraverso un’attenta lettura dei fatti, vediamo come la storia d’Italia sia legata ad un disegno più grande che collega il nostro risorgimento, diretto da altri potenti stranieri, con la storia europea fino all’analisi del falso racconto dell’attuale guerra in Ucraina.
In una delle presentazioni che Diego Fusaro fa all’opera di Lamberto Rimondini (L’altra storia d’Italia) scrive:
Rimondini fa sua la nota riflessione marxiana, secondo cui la storia è sempre storia di lotte di classe: storia degli interessi delle élites dominanti, che li impongono, non di rado con metodi niente affatto idilliaci, all’intera società.
Il sistema mediatico – ha ragione Rimondini – è, nel suo complesso, l’articolato dispositivo fintamente polifonico che deve sempre di nuovo ribadire il punto di vista dei dominanti, facendo sì che esso possa imporsi anche ai dominati e assumere lo statuto di punto di vista generale.
Nuotando contro le onde della storia, come avrebbe detto Nietzsche, il nostro autore prova a ricostruire la conflittualità tra dominanti e dominati – ora aperta, ora latente – lungo il piano del suo sviluppo storico, nei suoi momenti fondamentali e nelle sue figure principali».
Come per la storia e per la geopolitica, occorre fare un percorso a ritroso per farsi un’idea sulla storia della Medicina e i legami con la scienza moderna.
Questi percorsi vanno affrontati con la mente libera da pregiudizi e da condizionamenti, che non potranno essere superati se prima non viene svolto il lavoro a cui ho poco sopra accennato, per questo motivo mi sono permesso di scrivere due importanti capitoli, che non ritengo certo esaustivi, riguardo al funzionamento del cervello e alla scienza della manipolazione.
La genetica è stata fino a pochi anni fa il punto di riferimento indiscutibile secondo cui sia i nostri tratti somatici che il nostro comportamento fossero predeterminati. Da qualche anno l’epigenetica ha iniziato a modificare il pensiero assolutista della genetica, l’influenza dell’ambiente e delle esperienze sono infatti determinanti. Molte ricerche concordano sul ruolo che rivestono sia l’apprendimento che le interazioni sociali, determinando effetti visibili a livello cerebrale. La capacità di apprendimento del cervello umano è strettamente collegata sia alle emozioni, alla vista, all’udito, all’olfatto, che alle varie esperienze, come appurato da studi con speciali risonanze magnetiche. L’insieme di questi stimoli determinano il cambiamento morfologico del cervello, i collegamenti neuronali fioriscono, muoiono e si riconfigurano costantemente. In altri termini, il nostro cervello cambia continuamente adattandosi alle esperienze e all’ambiente. Quindi anche in età adulta si mantiene la capacità del sistema nervoso di modificare i propri circuiti, sia dal punto di vista strutturale che funzionale, in funzione dell’esperienza, al fine di apprendere informazioni sull’ambiente oppure, nel caso di danni cerebrali, per ripararli. Purtroppo per noi queste conoscenze vengono sapientemente utilizzate da coloro che detengono il potere al fine di influenzare le decisioni e i comportamenti dei popoli in modo efficacemente convincente.
Questo approccio cattura l’attenzione, crea un legame emotivo e spinge il pubblico a compiere azioni specifiche combinando psicologia, neuroscienze e strategie di neurocomunicazione. Per quanto risulti difficile credere alla reale efficacia di questi metodi, la comunicazione persuasiva è un approccio scientifico e altamente funzionale che si basa sulla comprensione delle risposte del cervello umano a stimoli e messaggi specifici.
A tutti noi piace pensare di saper scegliere secondo una logica razionale, ma in realtà il primo impulso che determina una scelta è di tipo emotivo e solo in seconda battuta giunge la risposta razionale, quest’ultima molto spesso ha più una funzione di razionalizzazione dei motivi della scelta che non il contrario.
(Vedi più avanti il capitolo Quando siamo noi a decidere?)
La comunicazione persuasiva utilizza i bisogni di sicurezza, appartenenza, riconoscimento, autonomia e realizzazione perché è scientificamente provato che queste determinano la maggior parte delle scelte del pubblico.
Di nuovo un lettore poco attento può chiedersi cosa lega tutto questo lavoro agli aspetti psicosomatici tra postura e prevenzione primaria. Certamente chi resta schiavo del pensiero dominante, su cui poggia le proprie basi la moderna visione sulla salute, non troverà utili chiavi di lettura se non la speranza che un piccolo dubbio possa in seguito stimolare una piccola apertura. Per coloro che hanno invece già una mente aperta e sono capaci di mettere in discussione le proprie certezze, o comunque hanno sviluppato quel sufficiente senso critico per cui accettano almeno il beneficio del dubbio, la lettura dei vari paragrafi potrà essere di stimolo a comprendere meglio come gestire la propria salute.
La copertina del libro mostra l’immagine di un’opera d’arte che rappresenta una donna seduta a terra in posizione raccolta concentrata sulle sue emozioni, in trasparenza degli ingranaggi (visione meccanicistica) collegano i suoi pensieri al corpo. In basso le scritte giapponesi da sinistra a destra si riferiscono all’utilità del rapporto con l’ambiente naturale attraverso lo Shinrin-Yoku (bagno nella foresta) da noi pubblicizzato con il termine ormai inflazionato di forest bathing, ma che comunque indica l’importanza della riconnessione alla natura attraverso cui ritrovare gli equilibri necessari al mantenimento della salute; la seconda scritta l’Hibaku Jumoku (albero bombardato dalla bomba atomica) si riferisce a come la vita sappia superare anche le sfide più estreme, infatti dalla radice di una pianta a poca distanza dall’esplosione dell’atomica è nato un nuovo albero, l’hibaku jumoku più vicino all’epicentro dello scoppio di Hiroshima è stato un salice piangente che ad oggi è ancora in vita; il terzo ideogramma, l’Inochi no ki o il rito dell’albero della vita ci introduce al concetto di caducità della vita (fragilità, fugacità, fuggevolezza, instabilità, labilità, precarietà, provvisorietà, temporaneità, transitorietà) a cui si contrappongono (durevolezza, eternità, immortalità, immutabilità, permanenza, persistenza, saldezza, stabilità). L’odierna cultura occidentale ha preferito spostare l’attenzione sul secondo gruppo dei termini, dimenticando così che la vita per quanto breve può essere bellissima. L’antica cultura giapponese ha dato vita ad un termine “mono no aware” che significa partecipazione emotiva alla bellezza della natura e della vita umana. Il meraviglioso momento della fioritura dei ciliegi, o quello dei glicini, per quanto breve resta un evento meraviglioso che non deve essere perso solo per la preoccupazione della sua brevità. In un parco giapponese un glicine di ben oltre 140 anni rappresenta l’icona della bellezza coniugata alla longevità; il quarto ideogramma “Kintsugi” si riferisce alla complessa arte di riparare le ceramiche con la polvere d’oro, il suo significato metaforico fa riferimento, soprattutto nell’attuale società in cui l’immagine riveste un ruolo primario, al desiderio di nascondere le nostre imperfezioni fisiche e le nostre fragilità. L’arte del Kintsugi rende più preziose e particolari le ceramiche riparate, allo stesso modo dovremmo imparare che è proprio il superamento e l’accettazione delle nostre fragilità, delle nostre imperfezioni a renderci unici e soprattutto autentici. Vivere nella nostra autenticità è un bene estremamente prezioso perché ci rende consapevoli delle nostre scelte di vita. Il Kintsugi è quindi una metafora che ci insegna a rendere una forza le nostre fragilità perché sono l’occasione per ricollegarsi al nostro io più profondo. Il quinto ed ultimo ideogramma riassume tutti gli altri, “Ikigai” il cui significato letterale è “il valore della vita”. Perché ci chiediamo se la vita ha un senso? Perché non siamo in grado di accettare la bellezza della vita e accettarla per come la natura ce l’ha donata?
Come scrive Baruch Spinoza niente è affidato al caso né al capriccio di divinità cui affidarsi in preghiera con timore e speranza; l’uomo può contare sulla stabilità dell’ordine delle cose e su se stesso. Per Spinoza il mondo non può essere antropocentrico, all’attuale epoca geologica è stato assegnato il nome “antropocene”, ma questo significa solo che l’incapacità dell’uomo di un utilizzo equilibrato della propria intelligenza sta distruggendo il mondo in cui lui stesso deve vivere. Spinoza auspica un umanesimo senza arroganza in cui l’uomo possa comprendere di non essere al centro dell’universo, ma solo di farne parte. La comprensione di essere parte di un mondo, di una natura meravigliosa, può permettere all’uomo di vivere una realtà propria e felice. Come molti altri autori anche Spinoza è convinto che la conoscenza stia alla base della capacità dell’uomo di costruire un mondo solidale, giusto e felice.
Osho può non godere della stima di molti ma il “The Sunday Times” di Londra lo ha descritto come uno dei “1000 uomini che hanno fatto il XX secolo”.
Io trovo in quel poco che conosco delle sue idee una sorta di amalgama tra il Dott. Sigmund Freud ed il Filosofo Baruch Spinoza.
Egli dice che la vita ha un senso quando è vissuta con gioia e non crede che la essa sia un mezzo per raggiungere un fine diverso da quello di vivere serenamente la vita stessa. Siamo al mondo per godere la vita in tutta la sua pienezza, e l’unico modo per vivere, amare, godersi la vita, è dimenticare il futuro. Il futuro non esiste. La vita è un pellegrinaggio verso il nulla: da nessun luogo a nessun luogo. E in mezzo a questi due non-luoghi esiste il “qui e ora.” Dalle sue stesse parole: “Io non appartengo ad alcuna nazione, a nessuna religione, a nessun partito politico. Sono un semplice individuo, nel modo in cui l’esistenza mi ha creato. […] Per questo i miei occhi sono liberi da veli e io posso vedere con chiarezza”.
Di seguito alcune delle sue frasi più significative:
- Le persone continuano a lasciarsi sfuggire l’ovvio, le persone continuano a non vedere ciò che è semplice, poiché pensano che la verità debba essere molto complessa.
- Ci sentiamo infelici perché viviamo troppo nell’idea del sé. […] Essere nel sé significa che si è separati dall’esistenza, che ci si è messi da parte. Essere nel sé significa diventare un’isola; significa disegnare una linea di confine tutto intorno a te.
- La vera prova è la vita; se sei davvero in pace, devi riuscire a esserlo anche nella piazza del mercato, perché quello è il vero banco di prova della tua pace! Io non sono per il ritiro dal mondo, io sono a favore della trasformazione; io non sono per la rinuncia, ma per l’affermazione della vita: vivi la tua esistenza nel modo più totale possibile!
- È soltanto dal caos che nascono le stelle, è soltanto dal caos che nasce il creato; il caos è un altro aspetto della stessa energia. Il caos è potenziale creativo.
- Diventa consapevole, risvegliati! Allora vedrai che ogni cosa va e viene, la vita è un flusso. La tua consapevolezza è l’unica cosa che permane immobile ed eterna. Raggiungerla è libertà. Conseguirla è lo scopo della vita.
- Tutto è energia sessuale che si trasforma, poiché è la sola energia che hai a disposizione. Qualunque cosa tu faccia – dallo scrivere poesie al dipingere, dallo scolpire al danzare, al cantare – tutto è in un modo o in un altro la trasformazione, la trasmutazione dell’energia sessuale.
- L’amore ti rende un ribelle, un rivoluzionario. L’amore ti dà ali per volare alto nel cielo. L’amore ti dà intuizioni per scrutare in ciò che accade, ragion per cui nessuno ti può ingannare, sfruttare, opprimere.
- Sognare è molto importante: ti fa assaggiare la libertà. Se non fosse così, impazziresti. Il mondo ti rende uno schiavo e sognare ti rende nuovamente libero: puoi volare nel cielo, puoi andare sulla luna, puoi fare qualunque cosa vuoi; nessuno può impedirtelo. La tua libertà è completa, la tua libertà è assoluta, non ci sono limitazioni di sorta; ecco perché sognare è così importante: ti fa restare sano. Se a una persona si impedisce di sognare, impazzisce nell’arco di tre settimane.
- L’uomo non è ciò che può essere, è solo un inizio, e la fine resta ignota. L’uomo non viene al mondo con un programma, non nasce fatto e finito: nasce in quanto assoluta libertà. Se non inizi a scoprire, a creare, a inventare, se non inizi a operare per dare forma al tuo essere, rimarrai una semplice esistenza priva di un’essenza.
- A meno che tu non conosca qualcosa che non possa essere venduto e non possa essere comprato, a meno che tu non conosca qualcosa che vada oltre il denaro, non potrai conoscere la vera vita.
- La vera domanda non è se esiste la vita dopo la morte. La vera domanda è se hai vissuto prima della morte.
- Un uomo che continua a dire NO, diventerà sempre più triste e depresso; la vita non busserà più alla sua porta.
- Vivi senza aspettative. Affrontare la vita con aspettative porta inevitabilmente alla frustrazione, sempre e comunque.
- Quando sei felice danza, canta, balla – sii felice!
- Nessuno nasce per qualcun altro e nessuno esiste per realizzare gli ideali di qualcun altro.
- Ogni tanto tenta di vivere e basta… Vivi semplicemente.
- Vivi il più intensamente possibile! Brucia la tua candela della vita da entrambi i lati!
- Cammina, mangia, ascolta in modo rilassato. Rallenta ogni operazione.
- Non hai più tempo per decidere se percorrere o no la strada che ti trovi davanti. Devi buttarti, proprio adesso, è la strada stessa a chiedertelo.
- La vita è gioia e delizia infinita.
- Accetta ciò che sei, amalo, celebralo, e proprio in quella celebrazione inizierai a vedere l’unicità degli altri, l’incomparabile bellezza di ogni essere umano.
- Nella vita l’amore è il valore più elevato. Non dovrebbe essere ridotto a stupidi rituali.
- La vita non è un viaggio. Non è una meta. È un processo.
- È tempo che tu smetta di cercare fuori di te, tutto quello che a tuo avviso potrebbe renderti felice. Guarda in te, torna a casa.
- In amore non essere un mendicante, sii un imperatore.
- Rispetta le tue aspirazioni più profonde. Rispettare le tue aspirazioni più profonde, vuol dire rispettare la voce di Dio che è dentro di te.
- In una società migliore, formata da persone più comprensive, nessuno vorrà cambiarti. Tutti ti aiuteranno ad essere te stesso perché essere te stesso è la cosa più preziosa al mondo.
- Non cercare di capire la vita, vivila! Non cercare di capire l’amore, entraci! Allora saprai, e quella conoscenza sarà frutto del tuo sperimentare.
- Il paradiso è qui – devi solo sapere come viverlo. E anche l’inferno è qui – e sai perfettamente come viverlo. È solo questione di cambiare la tua prospettiva, il tuo approccio alla vita.
- In una società migliore, formata da persone più comprensive, nessuno vorrà cambiarti. Tutti ti aiuteranno ad essere te stesso perché essere te stesso è la cosa più preziosa al mondo.
- Anche se hai immaginato di essere indipendente, di recente puoi avere scoperto di esserlo meno di quanto pensavi. Questo brusco risveglio è l’inizio del tuo viaggio fuori dal gregge e dentro la piena dignità della tua essenza individuale. Ricorda te stesso.
- La morte non è la fine, bensì il crescendo della vita stessa, il suo culmine… Se hai vissuto nel modo giusto, se hai vissuto totalmente, attimo dopo attimo, se hai spremuto tutto il nettare della vita, la tua morte sarà l’orgasmo supremo.
- L’uomo che vive del tutto privo di scopi, l’uomo che vive come se la sua vita fosse una passeggiata mattutina, senza una meta, quell’uomo è spirituale, la sua vita è sacra.
- Non c’è bisogno di correre. Non importa cosa succede intorno a te, mantieni un passo pacato che ti permetta di rimanere in sintonia con la brezza gentile della meditazione. E appena te ne dimentichi, ritorna in quello spazio, semplicemente e senza sentirti in colpa. Sii la quiete nella tempesta.
- Ricorda solo una cosa: tutto ciò che senti essere bello, è bello, e tutto ciò che ti rende felice, lieto, è la verità. Lascia che questo sia il tuo unico criterio. Non preoccuparti delle opinioni degli altri. Lascia che questa sia la tua pietra di paragone – tutto ciò che ti fa felice, dev’essere vero.
- Un po’ di follia, quel tanto che basta per godersi la vita, e un po’ di saggezza per evitare gli errori: questo basta.
- Assumiti la completa responsabilità della tua vita. Nessun altro può farlo.
- Scivola fuori dal passato, non gli permettere più di interferire, perché vivere attraverso il passato significa vivere una vita morta. Il passato è morto.
- Sono contrario a ogni tipo di abitudine, non importa se buona o cattiva. Non esistono buone abitudini in quanto tali e non esistono cattive abitudini: sono tutte cattive perché “abitudine” significa che qualcosa di inconscio è diventato un fattore dominante nella tua vita, è diventato decisivo.
- Nella vita, crescere significa scendere in profondità dentro te stesso… lì è dove sono le tue radici.
- Sperimenta la vita in ogni modo possibile: buono-cattivo, amaro-dolce, buio-luce, estate-inverno. Sperimenta tutte le dualità. Non temere l’esperienza, perché più esperienze fai, più maturo diventi.
- La vita in sé è una tela vuota e può diventare qualunque cosa scegli di ritrarci. Puoi dipingerci l’infelicità e puoi dipingerci la felicità. Questa libertà è la tua gloria.
- Nella vita non puoi ottenere niente senza pagarne il prezzo, e ottieni solo quel tanto per cui sei disposto a pagare. Quando sarai pronto a pagare con la tua vita, otterrai in cambio la vita eterna.
- Considera la vita una splendida barzelletta. Non c’è nulla da prendere sul serio.
- Esiste una sottile paura della libertà, per cui tutti vogliono essere schiavi. Tutti, naturalmente, parlano della libertà, ma nessuno ha il coraggio di essere davvero libero, perché quando sei davvero libero, sei solo. E solo se hai il coraggio di essere solo, puoi essere libero.
- Ricorda non sei solo nella ricerca della verità, anche la verità sta cercando te.
- Tutti cercano la sicurezza, e proprio per questo si lasciano sfuggire la vita. Più sei sicuro, più sei morto. La vita è pericolo. Dunque esiste un solo tipo di vita: vivi pericolosamente. Rischia sempre tutto: il prossimo istante non è certo, perché preoccuparsene? Vivi pericolosamente e con gioia. Vivi senza paura e senso di colpa. Vivi!
- La vita è un mistero che deve essere vissuto, non un problema da risolvere.
- Cerca di trovare la tua individualità, la tua integrità e prova a non scendere a compromessi. Più scendi a compromessi, meno sei un individuo.
- La vita è un dono meraviglioso, cerca di viverla intensamente senza sciuparne neppure un attimo. Solo allora capirai il gusto di ogni tua azione, bella o brutta che sia!
- Non hai più tempo per decidere se percorrere o no la strada che ti trovi davanti. Devi buttarti, proprio adesso, è la strada stessa a chiedertelo.
- Guarda certe persone: sono infelici perché hanno fatto compromessi su ogni punto, e non possono perdonarsi di aver fatto quei compromessi. Sanno che avrebbero potuto osare di più, e invece hanno dimostrato di essere dei vigliacchi. Hanno perso valore ai loro stessi occhi, hanno perso il rispetto di se stessi. Ecco cosa fa il compromesso.
- Se pensi alla strada che devi percorrere ti trovi tremendamente a disagio e la vita diventa troppo complicata. Se smetti di pensare e cominci invece a camminare, il tuo fardello si alleggerisce e inizi a intuire il tuo percorso, a scoprire una tua “visione”.
- Porta lentamente allo scoperto tutto quello che si nasconde nelle profondità. Alcune cose sono spazzatura e devi liberartene. Altre sono perle di saggezza e devi apprezzarle in tutto il loro splendore. Dietro la tua maschera si nasconde tutto ciò che è represso; e sotto c’è la bellezza della tua vera essenza. Raggiungila.
- Questo è l’unico istante che hai.
- Meditare significa diventare più vigile, più presente, più brillante, più luminoso; significa diventare più saggio. Ovunque constati che la tua intelligenza viene resa ottusa, fuggi da quel luogo il più velocemente possibile!
- Rispetta la tua unicità e abbandona i paragoni. Rilassati nel tuo essere.
- Concedi alla tua natura piena libertà, e rispetta te stesso. Sii fiero di essere te stesso, qualunque cosa tu sia. Abbi dignità.
Lo scopo di questo testo è quello di indicare le relazioni tra i delicati equilibri che ci mantengono in salute e come tutto ciò che ci circonda può agire sull’attivazione delle nostre “predisposizioni potenziali” .
Soprattutto ai nostri giorni siamo sempre meno capaci di ascoltare perché il troppo rumore delle troppe informazioni eccessivamente veloci quanto inutili ci rende sordi. Saper ascoltare è una vera e propria “arte” e come scrive il grande saggio Wen-Tzu “ Il principio fondamentale dell’ascolto è svuotare la mente in modo che sia chiara e calma: metti da parte ogni sensazione, ogni pensiero, ogni riflessione.”
Se vogliamo comprendere noi stessi in relazione a ciò che ci circonda dobbiamo interrompere il continuo rimuginio dei pensieri, perché solo con la mente calma e silenziosa possiamo far calare la nebbia.
Un detto taoista dice che ogni uomo può conoscere la propria via solo se la cerca veramente . Ma nel cercare la propria via occorre fare molta attenzione a saper ritrovare noi stessi imparando a toglierci gli strati sovrapposti dalla società e dalla cultura. Ogni giorno possiamo trovare proposte provenienti da vari ambiti, ideologici, filosofici, religiosi, psicologici e anche scientifici. Ma noi abbiamo bisogno di consapevolezza, di conoscenza non condizionata, ma soprattutto di serenità. Ad ogni angolo troviamo proposte per “migliorare il mondo” dimenticando che prima di tutto dobbiamo trovare noi la nostra tranquillità.
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La Biomeccanica delle Emozioni
Sono passati più di una decina di anni da quando una Psicologa con cui stavo collaborando mi propose di svolgere una lezione presso l’università in cui lei, come insegnante di Psicologia, svolgeva il ruolo di docente. Per quell’occasione preparai delle slide che mi permisero di intavolare una “chiacchierata” con quei giovani studenti che mi sembrarono molto interessati all’argomento.
Il titolo di quella presentazione era appunto “La Biomeccanica delle Emozioni”.
La mattinata passò in un batter d’occhio e le domande stimolarono un interessante percorso all’interno del concetto di unitarietà dell’essere umano.
All’inizio del mio intervento proiettai una slide in cui era scritto:
“ per comprendere occorre saper ascoltare senza condizionamenti”
a questa seguirono altre in cui riprendendo delle massime di grandi autori come Albert Einstein, Marilin Ferguson e Harrison Fryette, rispettivamente era scritto:
“La vita è come andare in bicicletta, se vuoi stare in equilibrio devi muoverti”
dopo
“ Se continui a credere in quello che hai sempre creduto, se continui a pensare come sempre hai pensato e se continui ad agire come sempre hai agito, otterrai quello che sempre hai ottenuto.”
infine
“Osa essere diverso. In così tanti preferiscono essere ortodossi piuttosto che giusti.”
L’obiettivo di quella mattinata insieme era quello di tentare la comprensione dei delicati meccanismi con cui l’emozione contribuisce a variare la forma e non solo che il nostro corpo utilizza per esprimersi. Parlare di postura è sempre complicato, possiamo affrontare l’argomento da diversi punti di vista, meccanico, fisiologico, psicologico, ma ogni volta ci troveremmo ad affrontare solo una parte di quello che riguarda questo contesto così importante per la nostra salute.

Non importa quanto lentamente procedi fino a quando non ti fermi, quindi non rinunciare ad un sogno solo perché pensi che ti ci vorrà troppo tempo per realizzarlo… il tempo passerà comunque. Saprai di aver fatto la scelta giusta, quando sentirai la pace nel tuo cuore.
Avere coraggio non significa non avere paura ma dominarla, di fronte alle difficoltà della vita si può scegliere di affrontarle o di fuggire.
Essere se stessi è segno di coraggio, né i successi né i fallimenti sono definitivi è quindi importante proseguire il cammino, nella Divina Commedia agli ignavi Dante ha riservato le sorti peggiori.
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L’Orgoglio degli anni
Non avevo mai avuto 60 anni
lo specchio del bagno riflette l’immagine di un maturo signore con pochi capelli ed i baffi quasi completamente bianchi. Non provo rimpianti o desideri di giovinezza, piuttosto timore di non avere il tempo per fare ciò che ho nella testa.
…. ops, in un lampo sono già passati 10 anni da quando provai l’emozione per l’immagine riflessa nello specchio di Fabrizio sessantenne.
Con una carissima amica che amo chiamare”sorellina”, si quella sorellina tanto desiderata e mai giunta che ho invece trovato in Simonetta, nel corso di questi anni durante le nostre interminabili chiacchierate ho condiviso le emozioni meravigliose della mia età.
Il mio mestiere e le mie esperienze in merito alla corporeità, alle capacità che il corpo può esprimere e al suo benessere, mi portano a misurare il fisiologico calo delle potenzialità fisiche che il passare degli anni impone.
Sono felice di avere ancora molte energie disponibili che desidero salvaguardare al meglio, la ricerca degli equilibri in un solo equilibrio è probabilmente la migliore strategia per questo ambizioso obiettivo.
Voglio guardare al mio futuro con l’intenzione di vivere la vita a pieno, questo per me non significa fare chissà cosa o dimostrare di poterlo fare, tutt’altro, voglio percepire tutta quella positività che la scelta dell’ambiente più giusto per me possa trasmettermi. Da anni con mia moglie Fabiola abbiamo scelto un percorso che ci avvicini alla natura senza per questo assumere atteggiamenti estremisti che non sarebbero i nostri.
Da quando se ne sono andati i miei genitori ho dedicato più tempo alla comprensione di ciò che maggiormente mi possa portare a vivere piacevolmente il mio tempo e per questo attingo a tutte le mie esperienze pregresse, siano queste di studio, lavoro, di vita, o altro.
Gli aspetti filosofici mi affascinano in special modo quando da questi posso trarre spunto per crescere, come spesso si dice mi piace fare le pulci all’ascolto o alla lettura di vari autori cercando di trovare in ciò che scrivono o dicono quello che più risuona con la mia crescita.
Tempo fa, non saprei dire una data precisa, ho piacevolmente passato del tempo al telefono con un carissimo amico e collega e, tra i vari argomenti affrontati, quello che in quel periodo di covid ci vedeva impegnati contro quella che riteniamo essere stata una strategia di potere più che un’emergenza sanitaria. Sono convinto che la lotta contro questi poteri sia enormemente sbilanciata a loro favore e fino a che non riusciremo a far comprendere ad una pur piccola parte delle persone l’effettiva realtà non potrà esserci libertà di scelta. Come ripeto da anni nei miei interventi, nei corsi o nelle conferenze, la lotta può attuarsi solo attraverso l’unica arma che abbiamo, la cultura. Ma come poter trasmettere una cultura libera quando tutto è ormai capillarmente infiltrato, controllato, condotto?
Per primo occorre comprendere come nella storia dell’uomo si siano affinate le efficaci tecniche di manipolazione che hanno permesso a coloro che hanno detenuto il potere il controllo delle masse.
A partire dalle prime piccole comunità umane al loro interno si sono sempre organizzate e affermate delle figure caratteristiche, il capo tribù, il santone o sciamano che in qualche modo si sono divisi delle fette di potere. Da quel tempo per arrivare ai nostri giorni, nell’arco dei secoli, siamo giunti a costituire gli stati e all’interno di questi una capillare suddivisione del potere. Se da un lato il vivere in comunità richiede delle regole di convivenza, più o meno complesse, a seconda delle dimensioni e della cultura di quel gruppo, è vero che la parte meno nobile della mente umana ha generato strategie di “convincimento” non sempre utili alla comunità, ma volte a dare a poche persone molti vantaggi. Nell’arco dei secoli il potere temporale e quello spirituale si sono uniti e divisi, hanno tra loro “collaborato”, e oggi, nel tempo della globalizzazione, è per noi più difficile comprendere chi veramente tira le fila del potere. Di certo possiamo constatare che il progresso industriale e tecnologico non sia riuscito a dare quei vantaggi che avrebbe potuto ai comuni cittadini per una vita migliore. Considerando il tempo a nostra disposizione come la più grande ricchezza che possediamo, vediamo che quella promessa del progresso, che doveva permetterci di avere maggiori ricchezze a fronte di un lavoro minore (svolto dalle macchine), non è stata mantenuta, infatti eccetto alcune categorie, oggi abbiamo sempre meno tempo da dedicare a noi stessi.

É meglio camminare da soli che insieme ad una folla che va in una direzione sbagliata
Diane Grant
Con il passare degli anni sono sempre più selettivo e allontano situazioni e persone che non mi soddisfano per fare spazio solo a poche relazioni autentiche e di valore, perché la vita è una e va vissuta nel migliore dei modi. Ho sempre avuto una certa allergia ai futili drammi e alle polemiche prive di significato, adesso le prevengo in ogni modo evitando inutili frequentazioni.
Desidero semplicemente un luogo confortevole dove abitare con mia moglie, vedere vivere i miei figli e nipoti, condividere il piacere della natura e dei buoni prodotti con cui preparare e consumare un buon pasto accompagnato da un buon bicchiere di vino insieme a gente piacevole con cui condividere il nostro buonumore …
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Il mio racconto
Sono nato nella parte più periferica di un piccolo paese del Monte Amiata nella parte meridionale della bellissima Toscana. Un monte che si affaccia come una terrazza su un panorama che va dalla Val d’ Orcia alla Maremma e da cui nelle giornate limpide si scorgono le punte delle Apuane fino a quelle della Corsica.
La tradizione popolare divideva in quartieri Arcidosso, il piccolo paese dove sono nato, dando loro dei nomi che non avevano nessuna corrispondenza con la reale toponomastica: il castello, la tonda, il tennis, la piana e codaccio dove appunto sono nato io. Il mezzo di trasporto più utilizzato dai vecchi paesani del mio quartiere era ancora l’asino, che a sera trovava rifugio nelle numerose stalle il cui caratteristico odore si diffondeva lungo le vie del borgo. Tista, Valente, Lilli, Feo, Assunto, Tonio, Pice, Marino, sono i nomi di alcuni dei proprietari di quelle simpatiche bestie che ricordo. Noi bambini scorrazzavamo lungo i vicoli stretti e scoscesi senza sosta, liberi di giocare con quello che potevamo inventarci con quel poco che l’ambiente poteva offrirci. Don Antonio era l’austero prete del quartiere, referente della parrocchia di San Leonardo la cui Chiesa dominava “codaccio”.
Quando i vecchi parlando fra di loro chiedevano “o di chi è sto citto” riferendosi a me, qualcuno di loro rispondeva “è iffigliolu dé ittrattore” intendendo dire che ero il figlio di Erino che di mestiere faceva il trattorista.
Mia madre Giuliana per arrotondare le entrate si impegnava come sarta adoperando la sua vecchia Singer a pedale nella piccola casa in affitto. Nel quartiere della piana abitavano i miei nonni materni “Cecco e Cice” diminuitivi di Francesco e Felicita, mio nonno era una pasta d’uomo, pur di nobili origini di una famiglia in decadenza era rimasto precocemente orfano e cresciuto come garzone. Mia nonna era una donna ligia alle regole morali e religiose di cui ricordo rari sorrisi. In un paese ancora più piccolo, Roccalbegna, abitavano il miei nonni paterni, Bruno e Dosola, che vivevano con i frutti che la campagna poteva dare loro gestendo come contadini mezzadri un podere, “il colombaio”.
Una famiglia numericamente importante in cui mio padre era il primogenito di cinque figli, infatti io ero il primo nipote, dominatore incontrastato dell’amore di Dosola e solo dopo circa dieci anni sono arrivate tre cugine, Cinzia, Elena e Alessandra. Il colombaio è stato il paradiso della mia infanzia, ricordo che approfittando di qualche trasportatore che con il proprio camion andava da Arcidosso a Roccalbegna, percorrendo la strada a sterro che collegava i due paesi, mia madre mi mandava dai nonni. Ero libero di scorrazzare nei campi, dove accompagnato da Roma, una meravigliosa cagna di lupo italiano, scendevo fino all’Albegna, il fiume che costeggiando la imponente rocca da il nome al paese. A volte accompagnavo mio nonno alla “Fonte di Feo”, un luogo in cui arrivavamo con il carro trainato dai buoi, Veneziana e Romagnola, due bellissime vacche bianche con le lunghe corna. Il profumo dell’orzo tostato sul focolare, il pane cotto nel forno a legna, il miele che mio nonno otteneva dalle proprie api e che mia nonna metteva sulla fetta di pane per la mia merenda.
Poi di nuovo ad Arcidosso per andare a scuola con la cartella in pelle che mi aveva regalato nonna Dosola in cui infilavo il libro di lettura ed il sussidiario. D’inverno, nelle giornate più fredde, la neve gelava nelle strade compattandosi, tornando a casa quando arrivavo alla discesa di San Leonardo, utilizzavo proprio quella cartella come slitta per scivolare fino alle scale della chiesa. Puntualmente come un rito quotidiano mi beccavo qualche sculaccione da mia madre che non apprezzava la mia performance. Nel periodo della Pentecoste, con il mio amico di infanzia Francesco, ci alzavamo presto per andare a”servire la Messa” come chierichetti di Don Antonio, che, finita la funzione, ci offriva una ricca colazione con una tazza d’orzo e una fetta di polenta di castagne. Subito dopo via di corsa ancora a scuola, dove la maestra Pina (Giuseppina Seravalle Lazzeretti) il cui ricordo mi emoziona ancora, ci accoglieva a braccia aperte.
Ancora oggi il mio amico Pierluigi ricorda la mia bravura nel risolvere i problemi di matematica, ed io ricordo invece i miei brutti voti in italiano, con lui nei pomeriggi di primavera facevamo a gara a chi riusciva a salire nell’albero più alto per “cavare i nidi”.
Ricordo il peso dell’obbligo del catechismo per poter “passare la comunione”, Suor Paola, una giovane suora che ci istruiva, un giorno, mentre ero attento alla sua lezione, mi dette un sonoro ceffone di cui non riuscii comprendere il motivo fino a molti anni più tardi. Io infatti non mi ero reso conto del grande peccato che avevo commesso togliendo le mani da sopra al piccolo banco e appoggiandole con le dita intrecciate sopra alle cosce davanti al pube. Le fantasie represse dalla rigida osservanza religiosa della giovane donna venivano scaricate sugli ignari malcapitati come me. Fortunatamente per lei qualche anno più tardi, Don Paolo, il giovane prete che sostituiva Don Nello nella parrocchia di San Nicolò, decise di rinunciare alla sua missione coinvolgendo suor Paola, che spero per lei abbia finalmente trovato la sua strada per un equilibrio interiore più adeguato.
Dopo le scuole medie si presentò il dilemma per la scelta del percorso successivo, una via professionalizzante o la preparazione per un futuro percorso universitario, non esitai ad iscrivermi al locale istituto per la formazione di Tecnici delle industrie meccaniche ed artigiane oggi ISIS Istituto Statale Istruzione Superiore. Una scelta che in qualche modo segnò una certa separazione da chi scelse il liceo scientifico o quello pedagogico.
Quel percorso mi permise di vincere un concorso per tecnico nelle centrali ENEL, ma dopo poco più di sette anni preferii cambiare e partecipai ad un concorso per il locale Comune di Arcidosso prima con mansioni tecniche e dopo con un ulteriore concorso passai a quelle amministrative. Con qualche sacrificio riuscii a concludere il mio percorso alla Scuola Dello Sport e riuscii ad aprire un centro sportivo che per quegli anni era all’avanguardia.
A causa di profonde incomprensioni, poco prima del cambio di secolo, mi separai dalla mia prima moglie che mi aveva regalato Alessio ed Andrea, due figli con cui ho sempre avuto un rapporto meraviglioso. Fu un periodo di sofferenza che mi spinse a vendere il mio centro sportivo e a dedicarmi allo studio della Terapia Fisica, prima come Massofisioterapista poi come Osteopata. Nello stesso tempo cercai di colmare, almeno in parte, le mie carenze nelle materie umanistiche con un diploma presso un Liceo Psicopedagogico.
Se sono riuscito a seguire, con ottime soddisfazioni, tutto questo percorso dopo la mia separazione, lo devo a Fabiola, la mia attuale compagna di vita e moglie. Dal 1998 decisi di dedicarmi alla Terapia Fisica, mestiere che continuo a praticare ancora oggi con la stessa passione di allora.
La sinergia con Fabiola come Medico con varie specializzazioni, la sua passione ed impegno nelle Medicine non Convenzionali, la mia pregressa esperienza nel mondo dello sport anche di alto livello, la formazione come Massofisioterapista ed Osteopata, ci spinse verso una stretta collaborazione che dette vita al percorso che abbiamo chiamato Terapia Fisica Integrata. Le esperienze acquisite in tanti anni di lavoro sul corpo da vari punti di vista mi hanno spinto ad affrontare la scrittura di questo libro. Pur facendo riferimento a numerosi autori importanti, quelli che mi hanno ispirato maggiormente sono il Dott Samuel Hahnemann, il Dott. ed il Dott. Hans Heinrich Reckeweg ed il Dott. Andrew Taylor Still rispettivamente fondatori dell’Omeopatia, dell’Omotossicologia e dell’Osteopatia. Ho cercato di integrare le mie conoscenze ed esperienze relative al corpo, acquisite sia in ambito motorio sportivo che nel campo della terapia fisica, con quelle di tipo emotivo per sviluppare un profondo lavoro psicosomatico in ambiente naturale.
La stretta relazione tra pensiero e corpo coinvolgono i tanti aspetti della vita, l’educazione, la società, la filosofia, la cultura, il movimento, la nutrizione, l’introspezione, l’ambiente, la natura, la storia dell’uomo, la storia di ognuno di noi. Il coraggio di cercare dentro ed accettare chi siamo veramente sono la base per comprendere la necessità di un cambiamento necessario per una vita serena in salute.

Una sera un nonno raccontò al nipote che dentro di noi ci sono due lupi che lottano:
Uno è infelicità, paura, preoccupazione, gelosia, dispiacere, autocommiserazione, rancore, senso di inferiorità.
L’altro è felicità, amore, speranza, serenità, gentilezza, generosità, verità, compassione.
Il piccolo ci pensò su un minuto poi chiese: ….. nonno quale lupo vince?
Ed il nonno rispose semplicemente: ……. quello a cui dai da mangiare.
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Di cosa voglio parlare
Nell’accingermi alla scrittura di questo libro il mio intento è quello di condividere con quella sempre più numerosa schiera di persone che desiderano cambiare il loro approccio verso la salvaguardia della salute.
Dalle moderne ricerche sappiamo che l’aspettativa di vita che aveva avuto un incremento positivo fino a pochi anni fa, portando gli italiani a un’aspettativa di 85 anni per le donne e 80 anni per gli uomini, sta subendo un’inversione di tendenza.
Sicuramente il merito dei risultati positivi di questo incremento, che molti conferenzieri dell’area Medica amano far ricadere sui progressi scientifici della Medicina, vanno attribuiti in egual misura all’igiene, allo stile di vita, alle possibilità economiche che permettono un’alimentazione sufficiente per tutti.
Occorre però fare molta attenzione proprio all’aspetto alimentare, che la modernità ci sta fornendo in quantità ridondanti, per il vertiginoso abbassamento qualitativo degli alimenti.
Quindi per assurdo siamo passati da un periodo in cui i nostri bisnonni si ammalavano per le condizioni di carenza alimentare, al periodo attuale in cui le massicce quantità di cibi ultraprocessati che vengono stivate sugli scaffali dei supermercati sono responsabili di molte delle nostre malattie.
Un punto su cui fare molta attenzione riguarda la lettura dei dati statistici, se da un punto di vista matematico sono sicuramente utili, la loro non corretta lettura può portarci ad una visione poco corretta della realtà. L’alta mortalità infantile di un secolo fa rispetto a quella odierna è un fattore che condiziona pesantemente i risultati statistici, siamo infatti passati da 347 decessi per mille nati vivi a circa 4 per mille.
Il miglioramento delle condizioni di vita ci ha visto arrivare, nel 2022, ad avere in Italia il 24% della popolazione con più di 65 anni e le previsioni ci portano a calcolare che nel 2050 gli ultra-sessantacinquenni saranno oltre il 34%.
Dato però che la vita si è allungata anche a danno della cronicizzazione di molte malattie e che gli anni di “cattiva vita” sono in aumento, addirittura si arriva a oltre 16 anni di vita con una o più malattie croniche, è determinante educare la popolazione ad uno stile di vita corretto.
Il nostro Sistema Sanitario Nazionale che in passato ha potuto vantare un posto al sole nel contesto mondiale, oggi non gode più di quella salute per tutta una serie di motivi, riduzione dei budget, carenza dei Medici e Paramedici, chiusura delle strutture periferiche, riduzione dei posti letto ecc., ma ci sono anche altre importanti motivazioni che fanno salire i costi della assistenza sanitaria e tra queste l’aumento percentuale della popolazione anziana e l’incremento delle malattie croniche, questo ha fatto lievitare la spesa da 68 miliardi nel 2000 a 130 miliardi di euro nel 2023. Si fatica a comprendere come a fronte di un importante incremento della spesa totale destinata al SSN la copertura procapite è passata da 110€ nel 2000 a 50€ nel 2020. Ma senza entrare in analisi finanziarie, che pur incuriosendomi non mi competono, è lampante che il miglioramento della salute dei cittadini, oltre ad essere l’obiettivo centrale della politica, avrebbe un riscontro economico positivo verso le casse dello stato.
Molti studi importanti affermano che uno stile di vita appropriato può donarci più di dieci anni di vita in salute, questo significa che se una certa percentuale di persone, dopo i 65 anni soffre di una o più malattie croniche, una corretta alimentazione, un adeguato esercizio fisico, una buona filosofia di vita possono fare sicuramente la differenza.
Le persone attente alla propria salute, che sviluppano una cultura in questo senso, sono le stesse che si orientano con maggior fiducia verso la “Medicina del riequilibrio”, o meglio ancora potremmo parlare della prevenzione verso un concetto sistemico. Nell’ambito di chi condivide la mia visione, si ritiene un errore il voler ricondurre la ricerca sulla salute e il voler incanalare gli studi sulla biologia, in maniera praticamente esclusiva, allo studio della genetica (Human Gcnome Project), che, tra l’altro, comporta la spesa di somme enormi a livello mondiale e come scriverò più avanti non ha dato i risultati promessi.
In effetti la ricerca sul comportamento dei geni per giungere ad intervenire attraverso la loro manipolazione costituisce un circolo vizioso e crea le premesse per problemi ancora maggiori di quelli che dice di voler risolvere.
Il concetto che si rivolge allo studio dei sistemi di regolazione di base, si pone invece, l’obiettivo di interpretare l’enorme mole di dati che emergono oggi dalla ricerca biomolecolare e clinica, abbinando ad essa lo studio secondo il quale il “materiale ereditario” è costantemente esposto all’influenza dell’ambiente esterno e considerando che la complessità dell’epigenetica non può assolutamente rientrare dentro al “corridoio” dell’analisi causa-effetto (deterministica).
Tutto ciò sta significare che partendo dal genotipo non è possibile determinare il fenotipo (Il genotipo di un individuo è dato dal suo corredo genetico, è ciò che è “scritto” nel DNA contenuto nel nucleo di tutte le sue cellule ed è quindi immutabile. Il fenotipo, invece, è l’insieme dei caratteri che l’individuo manifesta: dipende dal suo genotipo, dalle interazioni fra geni e anche da fattori esterni; dunque può variare.)
Cerco di semplificare la comprensione di questi concetti:
quando la genetica non è tutto –
Ogni essere umano è unico poiché non esistono due persone con lo stesso DNA. Ma anche nell’eccezione dei gemelli omozigoti, che possiedono lo stesso corredo genetico, l’influenza dell’ambiente ne determina la loro diversità fenotipica. Quindi anche nel caso dei gemelli omozigoti, il loro differente stile di vita ed esposizione all’ambiente può determinare lo sviluppo di malattie che non sono genetiche (98%). Questo significa che il 98% delle malattie non sono ereditarie, ovvero non sono “scritte” nel nostro DNA ma semplicemente possono dipendere dagli stili di vita e dall’esposizione ad ambienti differenti. Il fenotipo quindi non è influenzato soltanto dal genotipo, ma anche e soprattutto (i nuovi studi si orientano sul 75%) dall’interazione fra geni e ambiente, e questi caratteri sfuggono alle leggi della genetica classica.
Quindi è estremamente importante comprendere che le complesse e fini regolazioni biologiche e i livelli di organizzazione a livello delle cellule non sono localizzate nel genoma, ma nelle reti interattive epigenetiche, che comprendono sia il codice genetico che la risposta agli influssi esterni.
Dalle infinite possibilità di interazioni tra molecole è possibile tuttavia ricavare modelli di sviluppo, crescita, comportamento e regolazione, validi per tutti gli uomini, ma con innumerevoli possibilità di varianza collegate all’individuo, spesso non ripetibili.
Il nostro destino si decide al confine tra la cellula e lo spazio extracellulare, tra individuo e ambiente (appena il 2% delle malattie è di origine monogenica).
Lo studio del sistema di regolazione di base rivolge la sua attenzione alla relazione tra cellule ed ambiente e come queste relazioni siano determinanti per la nostra salute.
L’ingegnerizzazione concettuale della Medicina che tende a formare i nuovi Medici indirizzandoli ad un approccio meccanico con la malattia dimenticando l’unicità del paziente, purtroppo si allontana da quel sapere esperienziale che vedeva il bravo Medico integrare sapientemente le conoscenze teoriche ed analogiche con l’esperienza ed i risultati terapeutici finemente personalizzati.
La formazione rivolta ai Professionisti della Salute (Medici e Terapeuti) che segue il concetto del sistema della regolazione di base permette di riconoscere la disregolazione fin dal suo iniziare. Questo rende possibile un intervento terapeutico prima che si manifestino alterazioni tissutali. Un progetto sempre più avversato dalla formazione medica “ufficiale” che risente pesantemente degli influssi dell’industria farmaceutica. Un sogno che può essere realtà, una volontà che può diventare la base per una vera medicina dell’individuo (medicina biologica). Per quanto io sia fermamente convinto che il sapere è unico e non dovrebbe essere diviso e tanto meno contrapposto, sono anche convinto che l’attuale realtà orienta la così detta “medicina ufficiale” verso l’esclusivo pensiero causale analitico lineare deterministico, basandosi su dati specifici che forniscono informazioni su processi in atto o definitivi già manifesti a livello anatomo-patologico.
Nella mia visione l’intervento del Medico o del Terapeuta deve essere orientato a rafforzare la naturale tendenza dell’organismo all’autoconservazione (potere di autoguarigione ). Questo intervento, se orientato ad una finalità naturalistica (teleologia*), esige quell’esperienza che porta il professionista della salute a svolgere la sua arte.
*Teleologia e suo significato:
la teleologia è una dottrina filosofica che si poggia sul concetto secondo il quale gli eventi, anche quelli non legati all’azione volontaria e consapevole degli uomini, avvengono in funzione di un fine o di uno scopo. Essa concepisce l’esistenza di un legame tra l’essere umano i suoi simili e l’ambiente che permette il raggiungimento di un fine, non solo quindi attraverso la comune attività volontaria dell’uomo razionale indirizzata alla realizzazione di uno scopo, ma anche in quelle azioni involontarie apparentemente inconsapevoli che tuttavia realizzano un fine. Alla visione teleologica della realtà aderirono quasi tutti i filosofi dell’antichità. Ad essa si opposero invece gli atomisti, che concepirono gli eventi naturali come espressione esclusiva di un sistema di rapporti causali. Oggi ci ritroviamo quindi nella stessa situazione che vede assimilare la “Medicina ufficiale” agli atomisti in contrapposizione alla “Medicina naturale”.
La guarigione non dovrebbe essere intesa come la produzione di un oggetto, ma un “restauro” di un quadro clinico individuale su quell’opera d’arte che è il paziente.
La fede dogmatica nella scienza riduzionista rivolta alla pura raccolta di dati analitici, causali e obiettivi, ha portato a bollare la Medicina naturale antiscientifica. Per quanto il vigente modello scientifico, rigorosamente orientato al principio di causalità abbia conseguito grandi successi, occorre essere consapevoli che in Medicina non possiamo dare al pensiero analitico causale validità assoluta. Occorre considerare che il Medico ha sempre a che fare con il singolo soggetto, con il caso individuale, nel quale i dati analitici non completano il quadro del paziente. Per una valutazione ed una diagnosi quanto più completa e corretta, su cui basare un adeguata terapia, è indispensabile, nel professionista, la capacità critica, che nasce dall’intuizione e dall’esperienza. Nella necessaria valutazione individuale quale ruolo assegniamo alle angosce, alle speranze, alla fantasia, alla creatività “dell’insieme” professionista/paziente, se si considerano validi solo i criteri di obiettività, riproducibilità e prevedibilità. E come rapportarsi con la crescente frammentazione della Medicina in una molteplicità di discipline settoriali?
Perché, pur forti delle attuali conoscenze, non tornare a riconsiderare i precetti di Ippocrate, i quali interpretavano la medicina come metodologia ed educazione igienico-sanitaria? Anche Galeno (129-201 d.C.) era dell’opinione che la conservazione della salute fosse più importante della lotta contro la malattia.
La Medicina è stata, per millenni, una dottrina della salute, prima di diventare un sistema molto redditizio di assistenza ai malati.
La Prevenzione (Medicina), come scienza naturale, deve quindi diventare una scienza della cultura attraverso l’insegnamento e l’educazione della salute. L’insegnamento della salute coinvolge il rapporto con l’ambiente, con l’alimentazione, col mondo del lavoro e i rapporti interpersonali.
La così detta “Medicina ufficiale” e scientifica è sempre più fiduciosa nella manipolazione genetica, arrivando a dichiarare che le malattie più gravi, quali il cancro, potrebbero essere diagnosticate e curate già a livello intrauterino o subito dopo la nascita mediante la tecnologia genetica. Purtroppo come scriverò più avanti, non si vuole accettare il fallimento del progetto genoma e non si vogliono prendere in considerazione i grandi rischi della manipolazione di qualcosa di cui per adesso abbiamo solo una conoscenza superficiale.
Inoltre occorre ribadire che le malattie geniche sono solo il 2%, che devono sicuramente essere studiate e curate, ma evitando di mettere a rischio l’intera umanità con tecniche di cui non conosciamo gli effetti postumi.
Il riduzionismo scientifico ha cercato di sorpassare la complessità evitando di guardare l’intero spettro degli agenti sulla salute o sulla malattia, focalizzando l’attenzione solo su quelli che da quel punto di vista risultano essere più evidenti. La malattia è un evento multifattoriale per questo occorre non limitare la diagnosi ad una sola parte dei fattori che concorrono a scatenarla.
Olismo ed Evoluzione è il titolo del libro scritto da Jan Smuts, filosofo, militare e politico sud africano, egli sviluppa e descrive un concetto secondo il quale le proprietà di un sistema non sono date dalla somma dei singoli componenti, bensì è il sistema che influenza le parti che lo costituiscono.
Questo concetto applicato alla Medicina ha purtroppo dato vita ad un utilizzo inflazionato del termine “olistico”, ma nonostante questo il termine resta quello più appropriato per descrivere ai pazienti un approccio globale alla salute.
La visione Olistica in Medicina si approccia all’essere umano come un’unità-totale indivisibile e non come l’insieme delle parti che lo costituiscono.
Un concetto che trova difficoltà a passare, sia per le oggettive difficoltà all’interno di una cultura meccanicistica così detta cartesiana, sia perché poco funzionale agli interessi di una Medicina chimica che non vuole lasciare spazi aperti a nessuno.
Se l’individuo è un’unità indivisibile mente-corpo-spirito, per il suo benessere non possiamo occuparci di una sola parte, non possiamo quindi basare il nostro benessere solo su una sana alimentazione collegata alla corretta attività fisica. Il bisogno di socialità richiede una buona gestione dei rapporti interpersonali che non deve spingerci ad interpretare un ruolo diverso da quello che effettivamente siamo. Essere selettivi non significa essere asociali, anzi, ci permette di curare meglio i nostri rapporti sociali. Prendere coscienza dei nostri bisogni più veri e profondi è essenziale per trovare il nostro equilibrio.
Quindi senza mai dimenticare la buona alimentazione, l’attività motoria nel rispetto dei ritmi biologici, occorre una buona gestione dello stress e dei conflitti, e soprattutto una buona disponibilità al cambiamento.
La buona gestione dei nostri ritmi di vita contrasta con la così detta vita moderna, sta a noi dunque fare le scelte giuste. Una costante moderata attività motoria aerobica, oltre ad essere la base per il benessere fisico, ha un effetto protettivo su numerose problematiche psicologiche tra cui l’ansia, la depressione e gli attacchi di panico, ed inoltre stimola la neurogenesi cerebrale, la memoria, e migliora la capacità di apprendimento.
Per imparare a rilassare profondamente corpo e mente non servono complicati percorsi di meditazione orientale, la natura è e può essere la maestra ottimale. Probabilmente il nostro respiro è un ponte tra il volontario e l’involontario e non a caso è alla base delle attività sia fisiche che meditative. Per quanto l’ambito della corretta alimentazione sia estremamente complesso e ha bisogno di uno studio vasto, accurato e molto profondo, in genere per alimentarsi correttamente non serve seguire una rigida dieta all’ultima moda, ma può bastare dedicarsi ad un’alimentazione varia, bilanciata e soprattutto genuina, nel rispetto dei ritmi naturali e da consumare con persone positive ed interessanti con cui amiamo condividere la nostra vita.
Nel perseguire l’obiettivo di risveglio dall’intorpidimento mentale in cui questa società veloce, questa educazione, questa continua manipolazione mediatica, ci costringono, mi vengono in mente le parole del Dalai Lama:
“Quello che mi ha sorpreso di più negli uomini dell’Occidente è che perdono la salute per fare i soldi e poi perdono i soldi per recuperare la salute. Pensano tanto al futuro che dimenticano di vivere il presente in tale maniera che non riescono a vivere né il presente né il futuro. Vivono come se non dovessero non morire mai e muoiono come se non avessero mai vissuto.”
Come giustamente osserva il Dalai Lama viviamo seminarcotizzati, impegnati come automi a raggiungere degli obiettivi che probabilmente spesso non sono i nostri e non riusciamo a renderci conto che stiamo recitando una parte che non ci appartiene. Darsi il tempo per acquisire quella necessaria consapevolezza, per fare le scelte che ci riguardano nel profondo, è l’unica strada per ritrovare quell’armonia e quell’equilibrio su cui costruire il nostro benessere.
L’equilibrio emotivo si sviluppa nell’ambiente più idoneo al nostro sentire, permette una migliore gestione delle emozioni, migliora le nostre capacità di comunicazione favorendo le relazioni con gli altri, dobbiamo solo darci il tempo necessario.
Il benessere fisico e psicologico sono una cosa sola che si riflette su un sistema immunitario più forte rendendoci più sani e longevi.
Ci sono delle regole da seguire? Nulla di costrittivo altrimenti ci faremmo solo del male, però seguire dei suggerimenti che vanno indossati e personalizzati può essere utile:
- Una moderata attività motoria svolta regolarmente con piacere in ambiente naturale per almeno un’ora tre volte alla settimana.
- Alimentarsi con prodotti biologici di qualità, dedicando ai pasti tutto il tempo necessario per la condivisione con le persone che amiamo è importante quanto il seguire una dieta varia, ricca di frutta e verdura. Evitare consapevolmente senza costrizioni fumo e alcol, anche se un bicchiere di buon vino può comunque essere inserito (io non me lo nego mai).
- Il giusto riposo è molto importante, quindi prendersi delle pause e avere un buon sonno ristoratore fa parte di una buona gestione della salute.
- Dedicarsi ai propri interessi, di cui dovrebbe far parte il dolce far niente meditando con se stessi per una consapevolezza sempre più profonda.
- Non possiamo piacere a tutti come tutti non possono piacere a noi, ma coltivare alcune amicizie che percepiamo essere in sintonia e con cui sviluppare un confronto sincero è parte di quella sana socialità che ci fa star bene.
- Mantenere attivi i nostri interessi culturali, un cervello attivo è meno soggetto a decadimento.
- A fronte di una profonda revisione della nostra filosofia di vita alla ricerca della nostra vera identità, il mantenimento o la scoperta di nuovi principi etici ci aiuterà ad avere una morale senza conflitti.
- La scelta del partner con cui condividere la vita non è facile. La persona giusta per noi a vent’anni può rivelarsi sbagliata a quaranta. È importante condividere interessi, ma anche lasciare spazi, crescere insieme culturalmente, socialmente, senza dimenticare l’importanza della sessualità in una coppia a tutte le età.
- Gestire lo stress evitando conflitti ci riporta alla filosofia di vita dove la scoperta del nostro sé è il libro su cui scrivere la nostra esistenza. Il PIL, la velocità, il multitasking, sono concetti da lasciare a coloro che non hanno tempo per capire se stessi.
A questi nove punti potremmo aggiungerne altri, ma io sono certo che sono sufficienti per coloro che hanno già compreso la necessità di un vero cambiamento, che hanno già deciso quale strada percorrere. Al contrario saranno perfettamente inutili per coloro che continuano ad aspettare la pillola, la dieta, il percorso di meditazione, miracolosi, senza cambiare nulla nella gestione in cui questa società e questa educazione ci hanno incanalato.
La moderna società che vuol farci credere dogmaticamente alla tecnologia ci ha trasformato in tanti automi multifunzione con scarsa capacità di concentrazione e basso spirito critico.
Le ricerche condotte dalla Dott.ssa Sandra Bond Chapman ci confermano quanto sia importante ritrovare sani stili di vita in cui la concentrazione su ciò che si fa in quel momento (qui ed ora) è la migliore meditazione possibile.
La Chapman spiega che il cervello è programmato per far bene una cosa alla volta ed il controllo neuronale imposto da attività contemporanee oltre a produrre risultati modesti e imprecisi, biologicamente aumenta la produzione di cortisolo.
Il concetto del singletasking supera quello del multitasking, meglio quindi far meno fatto bene che tanto fatto male. La Mind-fulness ci insegna la piena presenza perché concentrarsi su una cosa alla volta migliora l’efficienza e l’intelligenza, i ricercatori affermano infatti che concentrarsi profondamente su un compito e portarlo a termine senza interruzioni ha una ricaduta positiva anche sulle performance successive.
Il ritorno al sano ed efficiente andamento lento, che significa fare una cosa alla volta, concentrandosi su quella dall’inizio alla fine, risulta essere la migliore strategia per far bene le cose e mantenere la salute.
Il mito delle donne multitasking.
Un vecchio studio affermava che la diffusione di musica nell’ambiente di lavoro abbassava notevolmente il rendimento delle lavoratrici a differenza di quello dei maschi. Uno studio inglese afferma che nelle donne la pressione del multitasking abbassa le performance del 69% contro quella del 77% negli uomini, ma una più recente ricerca di un team di esperti coordinati da Patricia Hirsch, dell’Istituto di Psicologia dell’Università di Aquisgrana, ha smentito questa differenza di genere, valutando le abilità di uomini e donne nel multitasking sequenziale e simultaneo. I risultati quindi non confermano lo stereotipo diffuso secondo cui le donne sono più brave nel multitasking rispetto agli uomini.
Il mito del multitasking femminile più che un pregio si rivela una trappola per le stesse donne, infatti un recente studio ha rilevato anomalie nell’area cerebrale deputata all’elaborazione delle emozioni (la corteccia anteriore). Fare più cose contemporaneamente significa non essere mai concentrati su quello che si sta facendo in quel momento, perché si tende a pensare sempre a quello che si dovrà fare dopo. A conferma della negatività del multitasking, uno studio dell’University of London ha calcolato che alla lunga riduce il quoziente intellettivo di 15 punti.
Pensiero veloce vs pensiero lento
Il pensiero veloce è inconsapevole, intuitivo, istantaneo, emozionale, sintetico, automatico, poco faticoso; il pensiero lento è consapevole, analitico, deduttivo, chiede concentrazione e fatica.
In questa società la maggior parte delle nostre decisioni è frutto di pensiero veloce. (Vedi più avanti il capitolo “Quando siamo noi a decidere?”) Questo può funzionare su questioni di routine già conosciute e in situazioni di emergenza in cui reagire in fretta è fondamentale. Il pensiero veloce però non sa e non può valutare bene rischi e probabilità e portarci a fare fare errori. Ma cerchiamo di comprendere meglio evitando di vedere negatività o pregi inesistenti. Sia un chirurgo in sala operatoria che un vigile del fuoco di fronte a un incendio, fanno scelte di vita e di morte attraverso il pensiero veloce per affrontare delle emergenze e molto spesso riescono a prendere la decisione giusta in quei pochi attimi. Nelle scelte di vita non abbiamo di fronte un’emergenza ed il rischio di commettere errori determinati dalla fretta sarebbe veramente stupido. Nell’era della moderna velocità, portata più all’immediatezza che alla durata, la lentezza e la pazienza sembrano essere di peso alla realizzazione dell’uomo di successo. In contrasto con la nostra natura, che non ci ha progettato per una vita veloce, abbiamo costruito una società dove l’immagine e la velocità sono gli aspetti primari. Il nostro sviluppo cerebrale é caratterizzato dalla lentezza che permette la costruzione delle reti sinaptiche. Come spiega il Prof. Lamberto Maffei:
Sono veloci quanto ancestrali quei meccanismi che fanno corrispondere ad uno stimolo l’immediatezza di una risposta: ritirare una mano sfiorando una superficie bollente, sentire accelerare il proprio battito cardiaco dinanzi ad una potenziale fonte di pericolo, preparandoci all’azione; tutti automatismi basilari per l’evoluzione della nostra specie.
Costitutivamente lenti, al contrario, si rivelano quei meccanismi che non nascono con il genere umano, ma che sorgono proprio dalla sua evoluzione, segnando il passaggio dall’uomo naturale all’uomo culturale. Sono i meccanismi della parola, del linguaggio, del pensiero che albergando nel nostro emisfero sinistro danno vita a quel pensiero logico strutturato temporalmente di cui solo noi esseri umani siamo capaci.
Possiamo quindi pensare che la velocità ci stia imbarbarendo? Parte della risposta la possiamo trovare negli scambi effettuati sui social o sulle applicazioni degli smartphone.
La tecnologia ci ha messo in grado di sfruttare a dismisura le forze della natura, ci siamo posti in una posizione di centralità con l’universo. Abbiamo sostituito il concetto di appartenenza alla natura con quello di opposizione, ma la natura si riprende sempre i suoi spazi e prima o dopo chiede il conto.
Il timore più grande non è lo sviluppo tecnologico in se stesso quanto l’utilizzo che se ne fa di questo, oggi la tecnologia digitale si sta imponendo fino essere già nell’era della competizione tra pensiero umano e pensiero digitale.
Il pensiero umano fa sempre più fatica ad affermarsi in un contesto in cui la velocità è il parametro di valutazione principale. Quale domani possiamo immaginare in un mondo dominato dal pensiero veloce, qual’è il destino di tutte quelle peculiarità umane come la contemplazione, la poesia, la conversazione per il piacere di parlare. Qual’è il destino delle emozioni se l’uomo del futuro sarà sempre più proiettato e strutturato verso il pensiero veloce, e quale evoluzione cerebrale possiamo immaginare dei centri del pensiero. È da “visionari” pensare che le strategie economiche, pur non uccidendo coloro che non si adeguano, li isoli nella povertà economica come per coloro che non si adeguano al progresso biologico della manipolazione genica?
Ritornare alla lentezza significa avere il coraggio di percorrere una strada piena di ostacoli che si oppone al consumismo bulimico e al senso dei valori anoressico.
E come scrive ancora il Prof. Maffei:
“Lento e irriverente è il pensiero di chi non accelera perché sa che quasi sempre ciò che si guadagna in accelerazione si perde in profondità e che arrivare prima a rischio di annientare l’anima delle cose costituirà sempre e comunque un prezzo alto, fin troppo alto da pagare.”
A Cartesio si addebita la responsabilità del pensiero scientifico moderno che con la separazione tra mente e corpo pone l’uomo fuori dalla natura che va sfruttata come una fonte di risorse inesauribile fino a violentarla.
Chi ha studiato e studia la vita sulla terra ha dato dei nomi alle varie ere, Archeozoico (vita antichissima), Paleozoico (vita antica), Mesozoico (vita intermedia) e Cenozoico (vita recente). Al nostro tempo è stato dato il nome di Antropocene, l’era geologica nella quale l’intervento dell’uomo è diventato così massiccio e rilevante, da aver inaugurato un nuovo tempo storico.
Il termine Antropocene fu utilizzato per la prima volta negli anni Ottanta dal biologo Eugene Stroemer, ma è entrato nel linguaggio scientifico ad opera del Nobel per la chimica Paul Crutzen secondo il quale si era entrati in una nuova epoca geologica della Terra, l’Antropocene.
Il progresso tecnologico ha portato l’uomo a divenire una forza geologica in grado di modificare i sistemi del pianeta. L’essere umano ha avuto una crescita numerica incontrollata fino a rappresentare il 90% degli animali di grossa taglia (cioè, più grandi di un pollo). L’opera dell’uomo su questa terra ha modificato tra il 50% e il 75% della superficie terrestre nel tentativo di far spazio ai campi e costruire città. La sola l’attività mineraria umana movimenta più sedimenti di tutti i fiumi del mondo messi assieme. Sono state cementificate coste marine e fluviali, è stata modificata la composizione chimica dell’acqua e il corso dei fiumi, abbiamo messo in crisi i limiti ecologici del pianeta. Negli ultimi cento anni abbiamo raddoppiato il livello di metano nell’atmosfera e aumentato del 30% il livello di concentrazione di anidride carbonica, un livello mai raggiunto in oltre 400mila anni. La plastica e il cemento stanno asfissiando il pianeta e anche se oggi smettessimo di produrne, occorrerebbero migliaia di anni per essere smaltiti. Le alterazioni che abbiamo generato nel ciclo del carbonio saranno rintracciabili nella roccia per milioni di anni. Le conseguenze sono quelle che conosciamo col nome di cambiamenti climatici. E anche se è vero che la lunga storia della Terra ha sempre visto variazioni climatiche, nell’Antropocene l’uomo concorre pesantemente a cambiare il clima determinando una velocità di gran lunga maggiore rispetto ai cambiamenti climatici legati ad eventi geologici o astronomici, che avvengono nel corso di centinaia di migliaia di anni.
È possibile che l’opera dell’uomo lo porti alla sua stessa fine, viviamo quindi in un’era in cui il pensiero umano sarà determinante per il suo stesso futuro, occorre quindi tornare ad un dialogo produttivo tra scienza e filosofia, tra le discipline scientifiche e discipline umanistiche, che ci riporti ad una alleanza tra uomo e natura. Purtroppo raramente ci accorgiamo che in condizioni di lontananza dall’equilibrio la materia può reagire con grandi effetti indotti da piccole cause, il fisico Edward Lorenz tenne una conferenza a riguardo nel 1972 dal titolo: “Può il batter d’ali di una farfalla in Brasile provocare un tornado in Texas?”. In altre parole “un battito d’ali di farfalla in Australia può causare un uragano in Giappone” non si riferisce solo alla trama di un film, perché “l’effetto farfalla”, in un sistema complesso, può essere veramente in grado di generare, in un periodo di tempo sufficientemente lungo, una catena di effetti a catena molto rilevanti e assolutamente imprevedibili.

Ho voluto circoscrivere questo concetto perché lo ritengo molto importante e da tenere sempre bene in mente anche per quanto concerne il legame tra l’utilizzo dei medicinali ed il mantenimento della nostra salute.
Il progresso e la modernità con tutti i loro pregi ed i loro difetti hanno condizionato anche l’aspetto della salute e delle modalità con cui ci si approccia al suo mantenimento e alla sua cura. In qualche modo tutto il secolo scorso ha visto un radicale cambiamento della Medicina, sicuramente ci sono state scoperte importanti, ma in nome di quel fenomeno conosciuto come “riduzionismo scientifico” abbiamo ingegnerizzato la cura, trasformando gli esseri umani in numeri portatori di patologia. Alcuni autori sono convinti che l’approccio riduzionista stia attraversando una crisi pesante, pur sperando in cuor mio che abbiano ragione, personalmente sono convinto del contrario.
Il mio non è pessimismo, ma solo una presa d’atto delle cose, chi può negare infatti che siamo sempre meno liberi di scegliere come curarci? È innegabile che il paziente è sempre più un numero con cui indicare un contenitore di malattia da studiare per ridurne la sintomatologia, come è innegabile l’aspra guerra alle Medicine Non Convenzionali che vengono soffocate nell’assordante silenzio di tutti. Per spiegare meglio il mio pensiero descrivo di seguito una piacevole esperienza che ho condiviso con mia moglie presso il teatro di un Paesino vicino alla nostra residenza:
Nel pomeriggio del 20 gennaio 2023, presso il teatro Costantino Costantini di Radicofani è stato brillantemente ricordato Andrea Purgatori, giornalista, sceneggiatore, saggista e attore italiano, scomparso nel luglio del 2022. Una interessante serata che ha visto la presentazione del libro pubblicato postumo “Volevo fare il giornalista-giornalista”, in cui una raccolta di inchieste e di articoli che ripercorrono la straordinaria avventura professionale di un protagonista del giornalismo italiano, hanno dato spunto per delle riflessioni “scomode” sulla stampa italiana.
L’evento è stato introdotto dal Direttore del Corriere della Sera Luciano Fontana in collegamento web, mentre Lorenza Foschini, giornalista e scrittrice, ha svolto egregiamente il ruolo di moderatrice degli interventi che si sono alternati appassionando il pubblico che gremiva il teatro. Paolo Conti, editorialista del quotidiano, Sergio Rizzo, giornalista e saggista e Peter Gomez, direttore de Il Fatto Quotidiano Online, hanno saputo egregiamente rendere omaggio al loro collega prematuramente scomparso.
Mia moglie ed io abbiamo partecipato con interesse a questo evento e ci ha fatto piacere vedere come un gruppo di giovani si stia impegnando per promuovere iniziative culturali di alto livello a Radicofani attraverso la loro associazione Pyramid.
Come nella ricercata tecnica pittorica del chiaro-scuro, il Tintoretto dipinse “l’ultima cena”, i relatori con i loro interventi hanno saputo dipingere un quadro dai contorni scuri della stampa italiana, in cui al centro la luce di un vero giornalista come Andrea Purgatori ha potuto risaltare con maggiore evidenza. Un contrasto stridente tra chi dedica la vita alla ricerca della verità, anche a rischio delle propria carriera quando non della propria vita, e chi si “siede” per scrivere solo su “dettatura” articoli di irrilevante interesse.
Si è parlato della perdita di credibilità della stampa, non solo attraverso il drammatico calo dei numeri, ma anche relativamente alla discesa qualitativa dell’informazione. Certamente il pubblico per quanto possa essere “addomesticato” sa anche scegliere di fare a meno di ciò che non vale e non serve. Il saluto dei relatori agli intervenuti non ha previsto domande da parte del pubblico, mi sarebbe piaciuto chiedere se alla luce di questa presa di coscienza del degrado in cui versa l’informazione italiana e non solo, ci possa essere una speranza di una risalita nella qualità del giornalismo.
L’ascolto delle considerazioni fatte da degli esperti del settore dell’informazione, la descrizione delle motivazioni del degrado, che per quanto sommaria ne ha ben descritto il processo, mi ha inevitabilmente portato ad una evidente sovrapponibilità con il destino della sanità.
Se trenta o meglio quarant’anni fa potevamo trovare una stampa che era di parte, nel senso degli schieramenti politici di appartenenza, potevamo almeno contare su un’informazione in grado di far almeno trapelare la realtà dei fatti, oggi i proprietari delle testate di destra sono gli stessi di quelle di sinistra, peggio ancora non sono dei professionisti dell’informazione, ma sono quegli stessi imprenditori che hanno tutto l’interesse ad “indirizzare” la notizia fuori dai propri interessi economici. Viene da chiedersi se il detto “mal comune mezzo gaudio” possa essere azzeccato nel constatare come questa tremenda situazione sia la stessa in cui versa la sanità. Purtroppo di quel detto possiamo lasciare solo la prima parte, perché non può certo esserci nessun gaudio nel vedere quella Sanità pubblica con la S maiuscola trasformata in una accozzaglia di “aziende = ASL” in cui l’obiettivo del profitto viene prima di quello della salute. Se nell’ambito dell’informazione i giornalisti sono diventati impiegati che scrivono sotto dettatura, nella sanità i dirigenti sono “messi lì” per obbedire a chi attraverso i tagli descritti dalla stampa come “ottimizzazioni” trasferisce quei fondi magari per comprare delle armi.
Mi piacerebbe poter dire che sia in atto un processo di “risveglio” ma mi accorgo con dispiacere ed un certo disappunto di come il potere mediatico ci abbia in pugno. Purtroppo come agli inizi del secolo scorso ci troviamo nella condizione di non poter conoscere il nostro vero nemico e, pur con mezzi diversi, assistiamo alla stessa manipolazione di massa. Per adesso fortunatamente non ci sono costrizioni fisiche dirette ma viene attuato lo stesso stratagemma di divisione e contrapposizione verso chi in qualche modo ha avviato un po’ prima il suo processo di “risveglio”.
Un sottile ma potente processo di omologazione ci porta ad incanalare tutti verso un solo modo di pensare alla vita.

La medicina moderna vive della malattia che studia perché questa produca profitto
Noi viviamo della nostra salute di cui dobbiamo essere gelosi custodi ed essere i primi ad occuparci di lei.
Il cambiamento non è mai doloroso. Mentre lo è la resistenza al cambiamento
Budda
Il vero viaggio di scoperta non consiste nel cercare nuove terre, ma nell’avere nuovi occhi.
Marcel Proust
La bellezza inizia nel momento in cui decidi essere te stesso.
Coco Chanel
Non aspettare che le circostanze siano giuste. Comincia ora.
Eckhart Tolle
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