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Art- Core stability, non tutto è oro ciò che brilla

L’unica certezza è sapere di non sapere

Il mondo del fitness, come molti altri ambiti, è solito lasciarsi affascinare da metodiche che conquistano l’immaginario collettivo. Bob Gajda è stato Mister America nel 1966 nel mondo del body building, sicuramente un grande campione ed esperto nel suo ambito .       Ai suggerimenti del libro scritto da Bob Gajda si sono uniti alcuni principi di un’altro validissimo autore Joseph Hubertus Pilates.    

Io non sono un esperto di Pilates e non voglio permettermi giudizi avventati, ma ho la sensazione che oggi convivano molti modi di praticare questo metodo, praticamente ogni scuola lo interpreta secondo il proprio punto di vista, e con molta probabilità questo deriva più da una esigenza di business che di tecnica. In ogni modo il concetto di core stability si fonda, almeno inizialmente, sull’integrazione delle metodiche proposte da queste due tipologie di autori, a cui man mano si sono aggiunti altri studi.      Il core stability, al di la del nome, trova una moltitudine di interpretazioni diverse tra loro, il mantra ricorrente che lo descrive è più o meno questo: ‒

Un core debole e poco efficiente non solo è causa di lombagie, disordini posturali, problematiche articolari, ma influisce negativamente sulla performance di un atleta. La funzione primaria del core è di “stabilizzare” il corpo umano sia durante azioni statiche, sia durante quelle dinamiche.    I muscoli del”core”, quindi, stabilizzano il torace, il bacino e la colonna lombare durante i movimenti degli arti e della testa, mantengono i corretti equilibri durante tutte le attività funzionali, intervengono nella respirazione nella tosse e quando si eseguono sforzi. I muscoli dell’unità interna di stabilizzazione sono il muscolo diaframma, i muscoli del pavimento pelvico, il muscolo trasverso dell’addome e quello multifido profondo. Questi muscoli formano un contenitore la cui pressione interna è mantenuta dalla loro contrazione. Quest’unità interna può essere considerata come un corsetto interno, il cui muscolo chiave è il traverso addominale.-

dal semplice al complesso perché tutto diventi facile

Basta fare un giro su internet per trovare miriadi di proposte sul core stability, ma che al di là di tante teorie, generalmente propongono una serie di esercizi caratteristici di potenziamento muscolare per la regione addominale a cui viene fatto seguire un concetto di “controllo” del torchio addominale.

Mi vengono in mente gli anni in cui come prevenzione per gli incidenti agli arti inferiori dei calciatori si utilizzavano impegnative routine di potenziamento muscolare attraverso squat, multipower, leg extension, leg curl, multi hip, per poi rendersi conto che l’incidenza degli incidenti non era cambiata.

La mia esperienza di tanti anni nel mondo dello sport e del fitness prima, ed in quello della terapia fisica poi, mi suggerisce di essere sempre molto prudente prima di “innamorarmi” di metodi mitici che puntualmente di mitico hanno poco o nulla.    A mio modo di vedere ritengo importante l’efficienza muscolare di ogni zona del corpo e quindi anche quella della zona addominale, ma nell’esporre il mio pensiero in merito al concetto di core stability occorre fare una importante premessa: occorre dividere il mondo dello sport e del fitness da quello del puro benessere (wellness), e dopo aver abbandonato il mondo dello sport e del fitness è appunto dell’ambito del wellness che ho deciso di occuparmi ormai da anni. Quindi tolgo da questa trattazione tutto l’ambito prestativo (sport e parte del fitness) che preferisco lasciare agli allenatori specifici per ogni settore.

Tolto l’obiettivo prestativo o quello puramente estetico estremizzato seguito da una parte del mondo del fitness, proviamo ad analizzare meglio le problematiche derivate dai dolori alla zona lombare esclusivamente nei riguardi del cittadino comune che vuole migliorare la propria qualità di vita.  Sappiamo che percentualmente circa l’80% della popolazione adulta viene colpita da episodi di mal di schiena, ma di questi solo nel 20% dei casi le indagini mediche riescono a riconoscere un’eziologia certa.    É frequente che vengano consigliati esercizi di rinforzo dei muscoli addominali a sostegno della schiena, ma sono in molti a credere che non vi siano sufficienti motivazioni scientifiche a supporto di questa pratica.

In ortostatismo il corpo umano deve opporsi agli effetti della forza di gravità con una forza uguale e contraria, questa azione è svolta dai muscoli antigravitari, i quali a livello della colonna vertebrale lombare agiscono come una componente di una leva di 1° genere (potenza), il disco intervertebrale (fulcro), il peso anteriore del torace (resistenza).

Come ogni esperto può facilmente notare, come tutte le leve articolari, la leva è svantaggiosa perchè il braccio della potenza è più corto di quello della resistenza. Ogni incremento della componente resistenza (maggior tono dei muscoli addominali) richiede un incremento molto più alto della componente potenza, ma questo comporta un notevole incremento di carico sui dischi intervertebrali. 

Quello che non si vede non esiste? O semplicemente non siamo in grado di vederlo.

Già questa considerazione dovrebbe portarci a riflettere sull’effettiva utilità dell’incremento del tono muscolare a livello addominale.   La considerazione espressa sopra trova supporto nel riconoscimento che la bibliografia scientifica affida agli esercizi di allungamento delle fasce posteriori degli arti inferiori, e anche in alcune ricerche che vedono nella gestione qualitativa delle attivazioni muscolari del trasverso e degli altri addominali piuttosto che nell’incremento quantitativo, un riscontro positivo sul (low back pain) – LPB.

Nell’arco del secolo scorso molti autori hanno proposto studi interessanti a proposito della stabilità del nucleo: Joseph Hubertus Pilates che indica come “casa del potere” il core, Kendal localizza il baricentro del corpo nel core, Calliet studia il ritmo lombopelvico, Lapierre, Charrière, Piollet, De Sambucy, si occupano della valutazione dell’assetto pelvico, Pivetta nei suoi testi di ginnastica medica propone il controllo del bacino, Richardson sottolinea l’importanza dell’attivazione del muscolo trasverso, McGill propone l’irrobustimento della biomeccanica addominale, Chek suddivide il core per funzioni di stabilizzazione e di movimento.

Per crescere occorre essere disposti ad aprirsi a nuove esperienze

Ma oltre ai vari autori convinti che il potenziamento, l’irrigidimento, il controllo, del nucleo sia certamente positivo nella prevenzione degli infortuni alla schiena, ce ne sono altri che sollevano dei dubbi: Sheri P. Silfies, David Ebaugh, Marisa Pontillo, Courtney M. Butowicz, Eyal Lederman; tutti questi autori sollevano dubbi circa l’effettiva scientificità delle affermazioni a favore del concetto di core stability che oggi va per la maggiore.

Ed è in parte anche in relazione ai dubbi di questi autori che sorgono anche i miei, ma oltre ai dubbi sulle valutazioni scientifiche vi sono i concetti di biomeccanica applicata che mi portano ad allontanarmi dall’interpretazione più comune del concetto di core stability.  

Ripreso da un articolo della Dott.ssa Laura Bertelé

Tengo a ricordare che questa analisi si rivolge esclusivamente all’ambito del benessere nella vita di relazione, non pretendo di essere esaustivo e tantomeno di avere la verità in mano, ma tengo ad esporre il mio punto di vista, frutto di anni di esperienza nel mondo dello sport di alto livello, nel mondo del fitness e nell’ambito della terapia fisica.

Libertà in tutti i sensi, libertà nella postura, nelle emozioni, libertà nel movimento, libertà nell’esprimersi. La citazione di Fryette (osa essere diverso, in così tanti preferiscono essere ortodossi piuttosto che giusti), sono parole con cui ho avuto il piacere di identificarmi, anche se so che richiedono un grande impegno perché vincere l’ortodossia è sempre una grande fatica. I colleghi con cui ho condiviso un percorso e che hanno compreso la profonda differenza tra stabilità ed equilibrio, dovranno lavorare più degli altri per condividere il loro sapere. La libertà non sta né a destra né a sinistra né avanti né dietro, ma questo non vuol dire che stia nel centro, perché nella dinamica l’equilibrio non è mai nello stesso posto.

Il controllo dei rapporti tra torace, addome, bacino e arti inferiori è estremamente complesso, deve infatti assolvere a numerose richieste: movimento della deambulazione che coinvolge tutto il corpo proprio attraverso le catene miofasciali, la respirazione che esige una fine alternanza di pressioni endo-addominali al fine di garantire un ingresso polmonare quadratico, il pavimento pelvico in sinergia ai muscoli dell’addome devono assolvere a questa funzione senza interrompere l’azione delle catene crociate. Inoltre occorre che la percezione fine permetta un corretto allineamento tra busto ed arti senza il quale si generano una serie di coppie di forza deleterie sia per la funzione che per la struttura. Intervenire con la volontà attraverso la “tenuta” con i muscoli addominali significa mandare in tilt il delicato equilibrio diretto dal sistema nervoso autonomo fuori dalla nostra volontà.

Il titolo che ho dato a questo articolo viene dalla valutazione dei vari articoli letti, degli interventi ascoltati a proposito di core stability, che non mi hanno mai convinto a pieno. 

In molti articoli di questo tipo è frequente trovare descrizioni relative al sostegno che la pressione endo-addominale dovrebbe dare alla colonna vertebrale, spesso questa zona viene descritta come una palla la cui pressione aumenta a seguito della contrazione dei muscoli addominali, quindi all’aumentare della pressione, secondo questi autori, dovrebbe aumentare il sostegno alla colonna.

Se leggiamo più attentamente gli articoli, guardiamo le immagini che spesso vengono riproposte, e valutiamo il tutto con uno spirito un po’ più critico, possiamo facilmente comprendere che l’addome non è una “palla” gonfiabile in grado di aumentare il proprio volume ed in questo modo dare una spinta verso l’alto al torace, ma piuttosto può essere l’inverso.

Proviamo a descrivere l’azione di un incremento pressorio endo-addominale a seguito della contrazione dei muscoli del torchio addominale: il muscolo, quando esegue l’unica azione che sa fare, si accorcia (contrazione), per cui un retto dell’addome nella sua contrazione avvicina i due punti inserzionali (processo xifoideo arco costale e sinfisi pubica), l’obliquo esterno avvicina un emi-arco costale all’ala iliaca controlaterale e la contrazione di entrambi porta ad un avvicinamento dell’arco costale al bacino, altrettanto l’obliquo interno avvicina un emi-arco costale all’ala iliaca omolaterale e la contrazione di entrambi porta ad un avvicinamento dell’arco costale al bacino, la contrazione del traverso con la disposizione delle sue fibre a ventaglio, oltre alla componente di contrazione trasversale (solo centrale)  ha anche una componente longitudinale al corpo portando ad un avvicinamento del torace al bacino. La sommatoria di queste contrazioni porterebbe il busto a flettersi sul bacino, solo l’azione degli erettori spinali, contrapponendosi, mantiene il busto eretto.

Immaginiamo che tutti i muscoli che contornano l’addome costituiscano una sorta di contenitore (palla), per aumentare la pressione di questo contenitore occorre obbligatoriamente contrarre i muscoli quindi tendere a diminuire il volume del contenitore, già questo ci dovrebbe far comprendere che la realtà potrebbe essere molto diversa da quella che troppo spesso viene descritta.

Ma partendo anche da un concetto fisico diverso e facendo riferimento alla legge di Pascal prima e alla legge di Laplace poi, vediamo che il risultato non cambia: la legge di Pascal dice che la pressione di un fluido si distribuisce uniformemente su tutta la superficie del suo contenitore, la legge di Laplace dice che a parità di pressione la tensione tangenziale di un vaso è proporzionale al raggio del suo lume, per cui la pressione che si distribuisce sui due diaframmi (addominale e pelvico) crea una tensione molto più bassa rispetto a quella determinata sulle pareti addominali, e ad una maggiore tensione tangenziale di queste fasce corrisponde un maggior carico sulla colonna vertebrale. Il risultato dell’incremento delle tensioni tangenziali del torchio è sicuramente un incremento pressorio endo-addominale, incremento che non rende certo felici gli organi interni.

Non dimentichiamoci poi del ruolo complesso del muscolo psoas che in questo ambito non può non essere menzionato.

Avviandomi alla conclusione di questa modesta analisi che non vuole avere nessuna pretesa di esaustività, ritengo importante guardare al movimento della zona lombo- pelvica utilizzando i concetti espressi da Myers riguardo alla tensegrità.

A mio modo di vedere ritengo molto più utile stimolare i professionisti delle varie aree afferenti ad uno studio bioingegneristico più accurato, sviluppare vari argomenti quali lo studio delle fasce, il concetto di tensintegrità, uno sguardo di base alla scienza delle costruzioni, senza dimenticare la parte psico-emozionale e neuroriflessa. Per i praticanti punterei ad una educazione o rieducazione funzionale che veda uno studio più approfondito dal punto di vista coordinativo a cui va data maggiore rilevanza rispetto a quello condizionale.

                                                              Fabrizio Lorenzoni

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