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Vivere pienamente

Cosa vuol dire vivere pienamente? 

Le opinioni sono sicuramente diverse. In molti interpretano la velocità, l’evitare i “tempi morti”, il forzare il proprio essere a vivere velocemente il maggior numero di esperienze e di eventi come il modo ottimale per dare un senso di pienezza alla propria vita. 

Metaforicamente, se assimiliamo la vita ad un pasto, per chi vive velocemente il massimo è un McDrive da consumare in auto mentre torna in ufficio. Per chi come me ama la qualità della vita in ogni aspetto è invece avere tutto il tempo per condividere con persone positive e piacevoli ottime pietanze genuine, gustandone i sapori, gli odori ed apprezzandone la storia. 

Per quanto si possa correre il tempo non si controlla. Si può misurare con gli strumenti, si possono contare i giorni e le notti, ma non si può né rallentarlo né renderlo più veloce e tanto meno fermarlo. In una società che va di corsa l’uomo si trova catapultato in un mondo che non gli appartiene anche se è proprio lui l’artefice di tutto. Viviamo proiettati nel futuro senza renderci conto che il tempo passa e noi non lo viviamo. 

Il maratoneta corre per il traguardo, è attento al mantenimento del ritmo per abbassare i tempi, quasi mai si accorge di ciò che lo circonda. 

Nel Walk in Balance l’obiettivo non è l’arrivo ma il percorso, e più questo è bello e naturale più riesce a donare emozioni positive a coloro che hanno imparato a non vivere in fretta. 

Troppo spesso si guarda senza vedere. Imparare ad osservare i moltissimi aspetti che la natura ci offre ci permette di raggiungere quella quiete interiore che ci fa stare bene.

Uscire di fretta dall’ufficio per correre in palestra alla lezione di yoga e meditare a comando prima che si concluda l’ora di lezione, doccia sprint per arrivare in tempo all’aperitivo con gli amici con i quali ci lamentiamo delle interminabili file in autostrada nel week end appena trascorso, per raggiungere il mare dove, tutti ben ordinati nei lettini a neanche un metro l’uno dall’altro, abbiamo sofferto un caldo soffocante. 

Sempre più spesso si tende a riempire il proprio tempo, mentre è sempre più raro svuotarlo. 

Fermarsi per il piacere di percepire i I proprio respiro. 

Si dice che il tempo vola o che la vita è un soffio, la verità è che siamo noi i responsabili del nostro tempo. È frequente parlare di stress, un fenomeno che fa parte della nostra vita. 

Dopo anni in cui si è cercato di vivere secondo i canoni della moderna società a qualcuno viene voglia di cambiare tutto e trovare quell’equilibrio e quella serenità ormai perduti, decidendo di vivere in maniera completamente diversa. Una scelta impegnativa che, oltre a dover essere ben ponderata e programmata, non è alla portata di tutti. E allora, cosa fare? 

A volte basta cambiare alcuni atteggiamenti per migliorare sensibilmente la qualità della vita, comprendere quali sono le nostre vere esigenze discriminandole da quelle indotte. li lavoro, la famiglia, la casa, gli amici, gli interessi personali, tutte questioni che ci occupano ogni giorno a cui dedichiamo le nostre energie condizionati dall’ascolto continuo della televisione o dei social network, che ormai non hanno più la funzione di informare, ma quella di condizionare la nostra vita e indirizzarci verso le scelte “accettabili” da questo tipo di società. 

La scopa sull’uscio

Quando parliamo di stress abbiamo la sensazione di subirne le conseguenze per il carico di impegni troppo spesso eccessivo, ed in parte è vero, ma ciò che ci colpisce profondamente senza che ce ne rendiamo conto è determinato dai conflitti tra ciò che il nostro essere più profondo desidera e quello che la manipolazione sociale e mediatica ci induce a desiderare. 

Il termine stress è stato preso in prestito in medicina, come molti a Itri termini, dal l’ambito ingegneristico. La definizione tecnica di questo termine applicato all’essere umano è quella di risposta di adattamento degli organismi. I primi studi riguardanti il fenomeno dello stress vengono attribuiti al Dott. Hans Selye, un medico austriaco che, dalla metà degli anni Trenta del secolo scorso, iniziò a lavorare su questo tema presso l’Università di Montreal. 

Già dai primi esperimenti i risultati sulle cavie di laboratorio mostravano una reazione comune: ispessimento della corteccia surrenale, riduzione del timo e u Ice re sanguinanti nello stomaco e nel l’intestino. 

Basandosi sugli studi del Dott. Walter Cannon, il quale aveva lavorato sul concetto di omeostasi e sulla risposta di allarme presso l’Università di Harvard già dell’inizio del secolo scorso, il Dott. Selye si rese ben presto conto di quanto questo fenomeno fosse complesso ed articolato e ancor più nell’essere umano rispetto agli animali. 

La risposta ad un evento stressante nell’umano si differenzia molto a seconda dell’intensità dello stimolo. Mentre ad uno stimolo stressante acuto consegue una risposta di difesa “reazione di allarme” che genera la così detta scelta di attacco o fuga al fine di salvaguardare l’integrità e ripristinare l’equilibrio, molto diversa è la risposta ad uno stimolo stressante di bassa intensità ma prolungato nel tempo, il quale determina la seconda fase, definita di ‘resistenza’ che attiva risposte molto diverse da quella di allarme e che, se prolungata nel tempo, porta alla fase di esaurimento. 

La reazione agli stressors indotti dallo stile di vita sviluppatosi nelle società moderne, si differenzia dal processo naturale di risposta ad un pericolo concreto, e purtroppo diventa frequentemente dannosa. 

Il danno si concretizza in sintomi riconduci bili allo stress della vita moderna determinando sia sintomi fisici che psicologici e comportamentali che non sto ad elencare, ma rimando ad altro articolo specifico. 

Considerando che la risposta di adattamento agli stimoli stressanti della vita moderna è diversa per ciascun individuo, proprio perché ognuno di noi sviluppa un proprio modo di vivere, sentire e interpretare gli eventi, occorre comprendere quali siano le scelte più adeguate per ognuno. 

Quali strategie attuare? 

Dato che non tutti possono permettersi un cambiamento radicale della propria vita, possiamo puntare ad una serie di cambiamenti attuabili in grado di modificare sensibilmente la risposta che ci “esaurisce”. 

Diamoci tempo liberandoci dai circoli viziosi che ce lo consumano, arrecandoci danno. Spegniamo la lV, spegniamo lo smartphone, evitiamo di infognarci nelle reti dei social-networks, diamoci degli obiettivi raggiungibili utili a migliorare la nostra cultura, evitando letture spazzatura, condividiamo con altri queste decisioni cercando di costruire piccoli gruppi di incontro culturale, awiciniamoci alla natura tutte le volte che ci è possibile. 

Questo ci permetterà di essere più efficienti nel mettere ordine nella propria vita e ricavarne un beneficio. 

In una frase Tiziano Terzani riesce a sintetizzare il senso di questo articolo: “Ormai nessuno ha più tempo per nulla. Neppure di meravigliarsi, inorridirsi, commuoversi, innamorarsi, stare con se stessi. Le scuse per non fermarci a chiedere se questo correre ci rende felici sono migliaia, e se non ci sono, siamo bravissimi a inventarle.” 

Ho sempre ammirato quest’uomo per le sue molteplici qualità, ma oltre a descrivere ciò che awiene nel seguire i ritmi di vita moderni, mi piacerebbe poter scrivere cosa fare per difendersi dagli aspetti negativi che questi comportano, che in definitiva è il senso di questo sito. 

Anche Arthur Schopenhauer ha scritto una frase interessante sulle emozioni che il tempo ci dona: 

‘Talvolta crediamo di aver nostalgia di un luogo lontano, mentre a rigore abbiamo soltanto nostalgia del tempo vissuto in quel luogo quando eravamo più giovani e freschi. Così il tempo ci inganna sotto la maschera dello spazio. Se facciamo il viaggio e andiamo là, ci accorgiamo dell’inganno.” 

La frase di Schopenhauer si lega a quella di Marcel Proust che scrive: 

“Un vero viaggio non è cercare nuove terre ma avere nuovi occhi” 

Purtroppo avere nuovi occhi non è semplice perché la nostra mente è focalizzata su percorsi segnati che non ci permettono di guardare in direzioni diverse per vedere che esistono anche altre realtà. Questo terribile aspetto viene simpaticamente rappresentato in una scena di cabaret: 

Il marito sta seduto all’ombra a guardare il sentiero, mentre sua moglie, seduta accanto a lui ma girata dall’altra parte, guarda nella direzione opposta. A un tratto lei commenta: “Che bellezza! Ci sono tanti uccelli e le nuvole sono meravigliose. È un paesaggio splendido”: 

‘Ti sbagli, come al solito. È un paesaggio triste: dalla mia parte non ci sono nuvole e neanche uccelli!’: 

A volte la semplice azione del girar la testa ci impedisce di gioire delle bellezze del mondo. 

Spesso lo stile di vita che abbiamo scelto agisce come una droga che più si usa più ci danneggia, e allora occorre comprendere chi siamo veramente e nel nostro io più vero cosa vogliamo. 

Per alcuni di coloro che hanno già un’esperienza ed hanno superato la quarta o quinta decade di vita si presenta il dilemma della scelta tra il vivere in città o in campagna, un tema controverso che ne coinvolge molti altri. A seconda di chi affronta questo argomento i vantaggi e gli svantaggi assumono posizioni completamente diverse. Chi ama la città descrive la propria scelta come consona a persone vivaci, estroverse, ricche di energia, abituate agli aspetti positivi del la globalizzazione e delle società multi-etniche. Chiaramente non viene trascurato l’aspetto lavorativo e le opportunità di carriera e neanche quello del divertimento che può godere delle molte offerte che vanno dal teatro al cinema agli aperitivi con gli amici, per finire con i grandi centri commerciali dove puoi fare shopping con facilità. Inoltre solo la metropoli può offrire la possibilità di essere se stessi lasciando le persone libere di esprimere la propria personalità. Di contro gli abitanti dei piccoli centri o di campagna vengono descritti come persone introverse poco inclini alla socialità, legate alle tradizioni culturali meno aperte che ne impediscono la piena libertà espressiva. Le minori possibilità di scelta di lavoro e carriera limitano quella necessaria gratificazione che viene espressa dalle persone di successo che invece popolano le grandi città. 

Quando l’argomento viene affrontato e descritto da chi ha fatto una scelta opposta alla città i toni si capovolgono e la descrizione di chi abita la metropoli diventa quella di persone grigie, inquadrate, con comportamenti standardizzati e grandi problemi psicologici determinati dal forte stress di quella vita. Una bolgia di persone stressate dalla vita troppo veloce, dove i ritmi frenetici logorano e il tempo scorre così veloce che non basta mai. 

Il traffico diventa sempre più caotico e impone stressanti tempi di percorrenza, gli affitti, gli acquisti, sono eccessivamente costosi e impongono molte rinunce. Le metropoli sono sempre più inquinate e meno salubri e il senso di sicurezza si abbassa ogni giorno di più. 

Un ambiente dove la “mescolanza” di persone provenienti da culture diverse viene elegantemente descritta come biodiversità sociale, ma che nella pratica non è altro che un minestrone insapore che ha perso quelle peculiarità legate alle tradizioni ormai perdute. Uno stile di vita scaglionato da orari ossessivamente ripetitivi, alle 8.00 il cartellino, alle 12.00 la mensa o il “brunch” per lasciare spazio al corso di yoga meditativo “fast” in palestra, alle 14.00 di nuovo in ufficio o in fabbrica fino alle 18.00 per poi correre a casa a prepararsi per il rito dell’apericena. Ma non tutti in città possono permettersi una vita così piena di stimoli culturalmente interessanti, c’è anche chi si alza presto per attraversare vari quartieri ed arrivare in fabbrica, un po’ come in “tempi moderni” e ripetere la stessa via la sera per tornare a casa dove l’aspettano i figli e i problemi per giungere a fine mese. Beh insomma non è tutto oro ciò che brilla, e questo vale anche per chi loda la vita in campagna, infatti molto spesso le bucoliche descrizioni di un facile cambiamento di vita nel verde e nella pace dei piccoli borghi vanno a cozzare con la mancanza di tutta quell’esperienza, conoscenze e competenze che la campagna pretende. 

Qualche anno fa ebbi modo di seguire delle lezioni in cui si parlava di qualità della vita nelle varie città italiane e di come gli enti di statistica stilano la classifica delle città più vivibili. Ricordo che i professori parlavano dei numerosi indici di valutazione con molta serietà e convinzione, mentre nello stesso momento io mi chiedevo se quelle persone avessero mai visto un’alba o un tramonto, o avessero mai potuto ascoltare i suoni ed il silenzio di un bosco, oppure assaporato i frutti appena colti o il sapore delle verdure appena raccolte dall’orto. Mi chiedevo se conoscessero la solitudine di chi vive in mezzo a tanta gente in città o se invece avessero mai ascoltato le storie raccontate accanto al camino nelle sere di vegliatu r a. 

La filosofia di “darsi tempo” è molto lontana dall’etichetta standardizzata dell’apericena, da quell’ambiente patinato che ha ben poco di vero e naturale. Nei vari corsi che negli anni abbiamo proposto abbiamo parlato spesso dell’evoluzione dell’uomo legata alla postura come all’alimentazione, ma soprattutto a come il progresso industriale ha stravolto in pochissimo tempo la vita dell’uomo. 

Viene naturale pensare che io sia contro il progresso o la moderna tecnologia, chiarisco subito che sono convinto che ciò che la scienza “sana” ci ha regalato è sicuramente utile, ciò che la rende terribile è l’uso che l’uomo ne fa per fini meramente economici. L’avidità è un flagello che inquina ogni ambito e ai nostri giorni né la cultura né la filosofia hanno la forza per mitigare i danni di questa terribile “malattia”. 

È il momento di darci tempo, di dare ad ogni cosa il giusto valore, di ritornare ad essere più che apparire. Oggi dobbiamo imparare ad ascoltare e dobbiamo farlo senza i consueti condizionamenti stando uno di fronte all’altro, magari nella pace del verde o accanto al camino. La rete network è sicuramente un mezzo utile, ma non può assolutamente sostituire il colloquio in presenza. 

Occorre saper distinguere l’utilità del network per un utilizzo lavorativo o per il disbrigo di pratiche amministrative da quello che se ne fa sempre più frequentemente sui socia I. Il moderno stile di vita che istiga alla velocità in ogni ambito sta incrementando il numero di persone inconsapevolmente colpite dal “burn-out”, le quali reagiscono aumentando i carichi o ricercando l’evasione con modalità ancora più stressanti. I sintomi caratteristici che si manifestano quali nervosismo, insonnia, depressione, senso di fallimento, bassa stima di sé, indifferenza, isolamento, rabbia e risentimento, spingono chi ne è colpito ad apparire efficiente, veloce, reattivo, alla moda, creando conflitti interni ancora più forti. 

Una significativa citazione anonima recita: 

Le navi non affondano a causa dell’acqua che le circonda; le navi affondano a causa dell’acqua che vi penetra. Non lasciare che ciò che sta accadendo intorno a te entri in te e ti appesantisca. 

Un’altra significativa metafora: 

La mente è come l’acqua. Quando è turbolenta, non permette di vedere lontano. Quando è calma, tutto diventa chiaro. Alcuni studi istituzionali del Ministero della Salute hanno rilevato che la massiccia migrazione verso la città è un fenomeno sociale inarrestabile e di una tendenza irreversibile, che va gestito e anche studiato sotto numerosi punti di vista quali l’assetto urbanistico, i trasporti, il contesto occupazionale, ma soprattutto la salute pubblica, perché all’inurbamento è indissolubilmente legato, purtroppo, l’aumento delle malattie croniche non trasmissibili come diabete e obesità, proprio per via del cambiamento degli stili di vita alimentari e di movimento”. 

Dal mio punto di vista non comprendo perché non si facciano politiche per la riqualificazione dei piccoli centri urbani e delle campagne, con un occhio particolare alle politiche agricole. 

Il cambiamento inizia dentro di noi, per chi lo desidera è giunto il momento di prendere coscienza del mondo che ci circonda e darsi tempo. 

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